Per lungo tempo alla dopamina è stata attribuita l’etichetta di ‘molecola del piacere’, ma in realtà è molto di più. É proprio questo neurotrasmettitore, infatti, a decidere cosa desideriamo, di chi ci innamoriamo e cosa ricercheremo nel nostro futuro: ecco perché, ad oggi, possiamo definirla ‘la molecola del possibile’.
La presenza della dopamina nel cervello fu scoperta da una ricercatrice inglese, Katharine Montagu, nel 1957, e da lì studi sempre più approfonditi ci hanno portato ad apprendere che solo lo 0,0005 % delle cellule cerebrali producono dopamina, una su due milioni. Nonostante si tratti di una molecola infinitesimale, però, la sua influenza sul nostro comportamento è enorme. In quanto esseri umani, in seguito a promettenti ed eccitanti sorprese, come una telefonata improvvisa o un incontro inaspettato, proviamo una vera e propria ‘scarica’ di dopamina; questa sensazione di piacere e appagamento, tuttavia, non solo svanisce quando le novità diventano episodi regolari, ma ci spinge anche a ricercare nuovi stimoli per sentirci nuovamente soddisfatti. Questo basilare concetto si trova alla base dei nostri comportamenti e delle nostre emozioni, tra cui l’amore.
Il segreto chimico per il vero amore
Perché, con il passare del tempo, l’amore affievolisce? Le risposte a questa domanda possono essere diverse, ma, dal punto di vista chimico, vi è un’unica spiegazione: il nostro cervello è fatto per bramare l’inatteso e la possibilità, secondo l’allettante guida della dopamina, ma quando ciò che è inaspettato diventa familiare, amore compreso, la nostra attrazione viene spostata su nuovi orizzonti. La dopamina si trova alla base del circuito di ricompensa, ma il piacere che ci procura non è dato tanto dall’oggetto della ricompensa in sé, quanto più all’emozione inattesa che tale ricompensa ha provocato in noi. Con il tempo, però, la nostra aspettativa varia, ed è proprio la dopamina a dettare questo cambiamento: ci spinge a cercare sempre di più. La novità che innesca la dopamina, quindi, non dura in eterno, e anche in amore, inevitabilmente, vi sarà la perdita della passione. Secondo le ricerche condotte da Helen Fisher, antropologa statunitense, l’amore ‘passionale’ dura dai dodici ai diciotto mesi, mentre dopo si instaura il cosiddetto companionate love, ovvero un tipo di amore fondato non tanto sulla passione e sul desiderio, quanto più sull’affetto e sull’impegno reciproco. Questa tipologia di amore non si riscontra solo nell’essere umano, sono infatti molte le specie animali che fanno coppia per la vita. Il segreto per un amore duraturo sarebbe quindi passare dall’attesa all’esperienza. Sotto questo punto di vista, possiamo considerare la dopamina come la ‘miccia’ per innescare l’amore, una sorta di punto di partenza, ed anche uno estremamente allettante, ma se ciò che cerchiamo è un rapporto stabile e duraturo, dovremo necessariamente cambiare la ‘sinfonia’ chimica della nostra relazione. Il nostro cervello dovrà infatti passare dalla dopamina, che è orientata verso il futuro, ad altre sostanze chimiche, orientate invece verso il presente, da cui infatti prendono il nome. Queste sostanze sono chiamate ‘molecole H&N’, ovvero ‘here and now’ (‘qui e ora’), e comprendono l’ossitocina, le endorfine e la serotonina. Il tipo di piacere che ci fanno provare è diverso rispetto a quello della dopamina, perché è basato sulle sensazioni e sulle emozioni: ecco perché la fase della ‘luna di miele’ non è eterna. La fase dell’innamoramento non può quindi durare per sempre, e quando giunge al suo termine ci troviamo di fronte a due possibilità: la prima consiste nello scegliere la scarica energica della dopamina e ricercare la novità, la seconda nel far sì che il nostro amore si trasformi in companionate love, il quale ci fa apprezzare la nostra relazione non per ciò che potrebbe essere, ma per ciò che è.
In amore la dopamina non potrà mai essere il punto d’arrivo, ma sarà sempre, inevitabilmente, la sua origine: senza questa piccola ma potente molecola, infatti, non avremmo la possibilità di innamorarci.