Introduzione:

“L’ascensore” è un componimento di Giorgio Caproni composto tra il 1948 ed il 1949, anni difficili per il poeta a causa della grave malattia che aveva afflitto la madre e per la sua lontananza da essa, dovuta al suo trasferimento a Roma con la moglie.

Caproni porta questa serie di avvenimenti ed emozioni all’interno di un componimento molto differente dalla consuetudine di quegli anni.

Di seguito inserisco un link per poter visualizzare il componimento:https://www.poesiedautore.it/giorgio-caproni/l-ascensore#google_vignette 

Parafrasi:

Il poeta si immagina una sortita nelle ore notturne presso l’ascensore di Castelletto. Lì, sul bel belvedere, fra le leggiadre giovani in libera uscita, riconoscerà sotto un fanale la propria madre (vago richiamo a Dino Campana).

Insieme guarderanno le candide luci sul mare, soli e uniti come non mai, finché la madre non rabbrividirà, e allora se ne andrà esortando il figlio a tornare dalla propria famiglia.

Così si conclude il sogno ed il poeta è costretto a ridiscendere dall’ascensore per tornare a Roma, quindi alla realtà, dalla moglie Rosa, Rina in poesia, e dal maschio e dalla sua bambina (i suoi figli).

Il poeta ha l’impulso tornare presso l’ascensore di Castelletto, allora uscirà di casa e lascerà la sposa al pianterreno che chiudendo la porta gli chiederà di scriverle qualche volta. 

Dunque lui si commuoverà, lei ancora lo saluterà sventolando un fazzoletto bianco e lui la vedrà restare sola sopra la terra, proprio come il giorno stesso in cui la lasciò per la guerra.

Analisi:

La poesia è composta da undici strofe.

Sono prevalenti versi di breve-media lunghezza: ci sono settenari come “quando andrò in paradiso”, ottonari (il verso tipico della canzonetta) come “lunga sappia di tegola”, novenari (il verso caratteristico della poesia intima di Pascoli, di cui Caproni era un grande ammiratore) come “chissà che fra la ragazzaglia” e decasillabi come“di pane ai miei due bambini”.

Il componimento è ricco di elementi propri della canzonetta e il poeta si serve di numerosi accorgimenti per rendere il componimento più musicale, dunque: gli enjambements, come “con lei mi metterò a guardare le candide luci del mare contribuiscono a dilatare il ritmo dei versi, le parentesi, che vengono utilizzate da Caproni per la prima volta in questa lirica e sicuramente sono ispirate a Pascoli,   si presentano come una specie di sussurro e suscitano una variazione di tonalità, gli stacchi tipografici devono essere letti come vere e proprie pause musicali, come l’intervallo posto tra i vv. 85 e 86, atto a dilatare il ritmo dei versi, vi è  anche un ritornello che si ripete con qualche lieve variazione nei vv. 5-10 e nei vv. 55-60. 

Le rime sono prevalentemente vocaliche e baciate, fanno eccezione le rime consonantiche presenti ai vv.18 e 19 tra “ragazzaglia” e “vestaglia” che rimanda all’ambientazione popolare e ai vv. 33 e 34 tra “braccia” e “diaccia”.

Bisogna inoltre soffermarsi sulla rima presente nei vv.85-87 tra “terra” e “guerra”, che Caproni riporta autocitando uno dei primi componimenti, scritti in tempo di guerra e dedicati a Rina.

Il tempo verbale predominante è il futuro: tempo verbale dell’irrealtà per definizione. Caproni infatti non scrive della realtà, ma racconta delle visioni, per questo è molto frequente nei suoi componimenti l’uso del tempo futuro. 

In questa lirica vi sono numerose figure retoriche: quali sinestesie, come la moderna sinestesia al vv. 14 “Ma là sentirò alitare” ed al vv.53 “udendo sapor di tegole”; un ossimoro, “la luce nera del mare” al vv.15 ( in questo caso la luce viene definita nera per rimandare al clima funereo del viaggio del poeta; al vv.26 le luci verranno invece definite candide, per rendere l’atmosfera più fiabesca, perché a quel punto il poeta sarà nel mezzo della sua visione.);  una anafora presente al vv.52-53, “udendo quella campana, udendo sapor di tegole”ed due iterazioni  ai vv. 74-75, “Chi suona, chi suona questa campana” e ai vv. 16-17; una similitudine al vv. 30 “come mai in tanti anni siam stati”; 

un chiasmo tra il vv 9 e 11, ‘rubando un poco di tempo al mio riposo. Ci andrò rubando’; un’apostrofe al vv. 37, Giorgio, oh mio Giorgio caro: tu hai una famiglia”; ci sono numerose allitterazioni ai vv. 12-13, “dei Pezzettini di Pane ai miei due bambini.” 19-20, 33-34, 56-57,  73; e due paronomasie ai vv.22-23, “ con cipria e odor di vita viva”,  e 81-82. 

 

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