L’Uomo Nasce Mercante
Un Racconto in Due Parti di Lorenzo Grossi
Cari lettori, ho da dirvi che la pubblicazione di questo articolo ha dello straordinario. Nelle attività archivistiche del mio paesino, ho scoperto tra i vari manoscritti quello di un certo Diotelo Macellai (nominato semplicemente “Annales”) che raccontava le storie di certi uomini passati per questo paese, e delle loro parentele. Lo lessi, e che storie, o lettori! Mi parvero tanto assurde da rimanere impresse perfettamente nella mia memoria. Sfortunatamente, questo manoscritto fu bruciato dal prete del paese, poiché credeva contenesse racconti osceni (la seconda “n” del titolo, con l’utilizzo, era sbiadita tanto da scomparire completamente).
Mi misi a riscrivere i vari racconti, perché li consideravo degni di rimanere in vita, e di essere condivisi con i miei amici più stretti, consultando anche opere di altri scrittori contenute in quello stesso archivio (tra cui Aldino Galieri, Giovane d’Arca Petra, Giuseppe K e molti altri).
Così, storia per storia, ho riprodotto le parti più interessanti del manoscritto e lo mostrai ad alcuni colleghi. Tra questi, vi è la cantautrice e scrittrice bolognese Briciola Lunetti, che trovò questi racconti tanto affascinanti, che mi incoraggiò alla pubblicazione.
E dunque, cari lettori, questa coppia di articoli è giunta a voi. Spero possiate goderne almeno quanto ne ho goduto io, senza offendere la sensibilità degli ecclesiastici tra voi.
“L’uomo nasce mercante.” pensò, mentre porgeva i fiorini alla mano del cliente. Era una composizione di parole che lo affascinava particolarmente: la metà di un verso di un poeta o, come raccontava nei viaggi per altri comuni, un detto della famiglia di banchieri a cui apparteneva. Si trattava, infatti, di una delle compagnie più ricche del Consorzio: feudatari, capitani di ventura e monarchi esteri andavano presso i Bardi a chiedere prestiti per le loro imprese militari.
A concludere la transazione era un uomo sulla trentina che aveva vissuto nelle più caratteristiche città d’Italia: nato e cresciuto a Roma, aveva studiato presso l’università di Bologna, si era poi trasferito alla corte di Napoli ad ascoltare gli ammalianti sonetti dei poeti più raffinati, e ora, a Firenze, sentiva la stessa musica nei versi dei toscani e nelle monete fiorentine. Il suo lavoro era semplice quanto fondamentale: il cambiavalute. Si affascinava del suono di tutti quei piccoli oggetti metallici, ognuno diverso dall’altro. Mentre i molti si concentravano sui pesi e le loro corrispondenze, Giovanni riusciva a calcolare l’esatto valore di ogni pezzo dalla sua unica vibrazione. Riconosceva i falsi ancora prima di vederli: gli bastava ascoltare quei suoni distorti battere sul tavolo e mancare di quella musica tozza che caratterizzava i genovini, l’acuta eleganza dei ducati veneti, o, di gran lunga quella che più amava, l’armonia perfetta dei fiorini. Si potrebbe infatti pensare che, oltre l’opportunità di lavoro, si fosse trasferito nella città toscana per ascoltare il più possibile quel suono a lui così gradevole. Tra le armonie che amava di più, vi era inoltre quella della parola greca da cui derivava il suo mestiere: “kermatistes”. Trovava particolarmente interessante il suono della seconda consonante, che pareva accomunare le parole più incantevoli della sua professione: kerma, fiorino, denaro, quattrino, etc. I suoi studi in giurisprudenza lo resero uno strumento utile per la famiglia (fu appunto il padre a incoraggiarlo a studiare in quel campo), ma non era felice del risultato, credendo di aver perso troppo tempo dietro a concetti relativi e nulla che si potesse toccare con mano o vedere con chiarezza. Così, come per compensare quella mancanza, si prese il posto di lavoro. Sebbene il tesoro della famiglia gli sarebbe bastato per soddisfare le più importanti esigenze per il resto della sua vita, allontanarsi dall’ambiente dei tribunali era per lui un incommensurabile sollievo. Smise di pensare alle consonanti, e procedette con i cambi.
Conclusa l’ultima transazione della giornata, si avviò all’osteria. Passò vicino un fiume, e si mise a ripensare a quella frase: “L’uomo nasce mercante”. Iniziò a contarne le sillabe, alzando una ad una tutte le dita della mano destra e il pollice della sinistra. “Un settenario!” intuì. Per lui era chiaro: quella era la metà di un endecasillabo che doveva aver letto o udito a Firenze. Cominciò a tornargli alla mente l’altra metà, ancora confusa nell’oscurità della sua memoria. “L’uomo nasce mercante e muore…” non riuscì a concludere. Pensò che l’impresa non dovesse essere troppo difficile: per completare l’endecasillabo bastava trovare una parola che ne rispettasse lo schema metrico. Provò: “L’uomo nasce mercante e muore povero”, tuttavia credette che una frase del genere si addicesse più ad una vecchia megera che a un poeta fiorentino. Ritentò: “L’uomo nasce mercante e muore santo”, sebbene la prospettiva non gli dispiacesse, trovò improbabile che un intellettuale avesse scritto delle parole tanto cortesi per loro. “L’uomo nasce mercante e muore… e muore e basta!” risuonò nella sua mente, ormai stanco di dedicarsi ai calcoli anche fuori dal lavoro. Si convinse che gli bastasse la prima metà dell’endecasillabo, il resto non lo ritenne importante. Se la curiosità fosse persistita, avrebbe chiesto il giorno seguente all’amico Francesco, che era molto più esperto di poeti toscani.
Entrato nell’osteria, Giovanni percepì i suoni dei commercianti, dei contadini e di alcuni ecclesiastici disperdersi nell’ambiente, e si sedette vicino al tavolo di due noti usurai. Chiusi gli occhi, appoggiò la testa sul tavolo e, senza volerlo, origliò la loro conversazione:
<<…quello non pagherebbe i suoi debiti nemmeno per il riscatto della figlia! Non bastano i pegni e i lavori, ci vuole qualcosa di più sicuro, più immediato.>>
<<Ma lascia perdere quel cristiano! I contratti di cui dobbiamo occuparci noi sono quelli dei signori, non dei poveracci che ci chiedono due spiccioli. Tu un giorno confermerai il detto: “L’uomo nasce ladro e muore galeotto”!>>
A quelle parole, Giovanni alzò il capo di scatto. I due, che all’accaduto avevano voltato subito lo sguardo, gli lanciarono un’occhiata interrogativa.
<<Dovete perdonarmi, signori, del mio agire brusco. Mi sono incuriosito della scelta di parole di quel detto, potreste ripetere, per cortesia?>>
I due si guardarono per un istante, e il secondo ripeté:
<<”L’uomo nasce ladro e muore galeotto”.>>
<<Ladro e galeotto…>> rifletté a bassa voce, <<da dove proviene questa massima?>>
<<Non lo so, non ricordo di averlo letto o di averlo udito. Certe cose si sanno e basta, direi!>>
<<Deve aver ragione, scusatemi ancora per aver interrotto la vostra conversazione.>> detto ciò, stese le mani sul tavolo e fece ricadere la fronte su di esse. Alzò la testa per prendere la prima ordinazione che gli venne in mente, e ancora solo per far raggiungere il cibo e il vino alle sue labbra.
Mentre consumava il suo pasto, un gruppo di uomini dalle vesti ornate cominciò a far risuonare le voci dei partecipanti nelle orecchie di Giovanni, che le ascoltava mentre si confondevano tra loro. Non si curò delle loro apparenze, tuttavia notò che tra i vari oggetti che tenevano per le mani, uno era una corda con quattordici nodi.
“Inutili sciamanerie!”, pensò, e sciolse la curiosità in un attimo.
<<Signori! Ve lo dico io, tutti gli uomini sono nati uguali, e nessuno di essi può conoscere la vera essenza del divino!>>
<<Abbassa la voce, Guido! Certe tue tesi non dovresti gridarle ai quattro venti! In ogni caso, ciò che dite è falso, alcuni sono nati con la grazia di Dio, altri ne sono fuori. Alcuni ne possono cogliere la scienza, altri sono troppo occupati a diventar ladri, prostitute o, peggio, mercanti.>>
<<Hai una mentalità troppo austera: uomini e donne, intellettuali o banchieri, entrambi hanno il diritto di vivere in questo mondo e diventare splendidi esseri umani, ma non di conoscere il Superiore, e chi dice il contrario è un fanfarone!>>
<<Orsù, Guido, tu che sei esperto di rompicapi nelle tue poesie, non dovresti forse comprendere che nessuno dice davvero di aver visto una divinità?>>
<<Hai ragione, hai ragione, ma sicuramente cantandone le lodi si guadagnerà il suo favore. Coronerò questa tesi con un verso: “Il poeta nasce ‘l mondo e muore in Dio”!>>
<<E il mercante? Che fine fa lui?>>
L’altro allargò le braccia e proferì con tono meschino:
<<”Il mercante nasce ‘n denare, e muore senz’anima tenere.>>
Giovanni ne ebbe abbastanza e fece cadere la posata nel piatto.
<<Ma guardatevi attorno, pecoroni! Vi riempirete la bocca di parole articolate, ma non capite nulla di ciò che vi circonda, o almeno fingete di non essere bestie tali e quali a noi! Siamo noi banchieri a tenere in piedi le chiese dei vostri vescovi e i monasteri dei vostri santi, a permettervi di vestirvi dei vostri abiti eleganti e di cattivo gusto, oh quanto amate il denaro! Sareste disposti a vendere ciò che non è vostro per due spiccioli e poco più. Tornatevene alle vostre diocesi a dar l’ostia alle vedove, voi e le vostre tesi raffinate, qui c’è gente che ha lavorato veramente per guadagnarsi da mangiare.>>
<<Sciocchezze! Andiamocene Aurelio, queste persone non capiscono la finezza del nostro pensiero.>>
Il poeta non ascoltò il collega, e avvicinandosi con due falcate si rivolse direttamente a Giovanni:
<<Ricordati, banchiere, che Dio tiene conto di ogni debito.>>
Dopo di ciò, prese l’uscita assieme al compagno.
Finito il pasto, data l’ora tarda, Giovanni si avviò alla sua abitazione per coricarsi. Durante la camminata verso casa, la conversazione gli scivolò addosso, dimenticando del tutto il monito dell’uomo. Le ombre della stanza lo avvolsero e si nascosero dalla luce della luna piena. Questa si rifletteva sul vetro dei mobili e sulle monete di epoca romana: gli occhi degli imperatori illuminati dal chiarore bianco gli parvero osservarlo per un istante, mentre le scritte latine sembrarono incidersi una seconda volta sulla superficie metallica. Tra quelle monete sapeva esserci dei falsi, ma pensò che la loro manifattura fosse così realistica, che li comperò lo stesso come omaggio agli uomini che resero grande la terra amata. Osservare tutti quei volti gli conferiva un senso di immortalità, e lo riempiva di quel delicato amore che mostrano le bestie per i cuccioli, gli artisti per l’arte, e le madri per i figli. Si coricò sotto le coperte e cadde in un sonno profondo.
Cari lettori, sfortunatamente devo interrompere la narrazione: la macchina di questa catapecchia non riesce ad elaborare il numero di caratteri necessario per pubblicare tutto lo scritto insieme, e sono dunque costretto ad effettuare una dolorosa cesura proprio adesso. Per scoprire il significato della poesia e il futuro del nostro Giovanni, vi invito a leggere la seconda parte di questo racconto. Spero possiate passare una giornata piacevole, o sognare cose meravigliose.
-Lorenzo Grossi.