Primo romanzo italiano degno di esser definito esistenzialista, scritto dall’autore Alberto Moravia (1907-1990) in giovane età. La stesura iniziò nel 1925, quando Moravia era appena diciottenne; venne poi rifinito e pubblicato nel 1929.
Divenne il primo di diversi romanzi successivamente scritti dall’autore, facente parte di una serie.
Roma, anni ’20 del secolo scorso. I due protagonisti, Carla e Michele, sono fratelli , figli di una famiglia borghese ormai al verde che, se non fosse per il forte legame libidinoso da parte dell’amante Leo nei confronti della madre dei fratelli, Mariagrazia, avrebbero dovuto vendere la casa e vivere come semplici cittadini in una Roma mangiata dalla dittatura fascista.
L’aggettivo “indifferenti” è riferito soprattutto a Michele, impossessato dall’indifferenza nei confronti di tutto ciò che vi è attorno a lui, se stesso in primis. Lisa, la fidanzata, è decisamente presa da Michele, ma lui non dà segni di interesse vero, se non in casi di estremo bisogno: la considera come una sorta di collante per la famiglia.
Il nucleo narrativo di questo romanzo ruota intorno al rapporto che si crea tra la giovane Carla e il maturo Leo che, dopo averla fatta ubriacare durante la festa del suo ventiquattresimo compleanno, pretende di instaurare un legame erotico quasi da manipolatore-sottomessa per favorire il suo posto nella famiglia borghese, riferendosi a lei molteplici volte con l’appellativo “bambina”.
“Eh che bella bambina”; egli si ripeté “che bella bambina”. La libidine sopita per quel pomeriggio si ridestava, il sangue gliene saliva alle guance, dal desiderio avrebbe voluto gridare. […]
“Sai che hai delle belle gambe, Carla?” disse volgendole una faccia stupita ed eccitata sulla quale non riusciva ad aprirsi un falso sorriso di giovialità.
Il romanzo in sé è un vero e proprio grido di denuncia alla società borghese del tempo, piena di eccessi, intrighi e cliché. Ciò che porta Carla ad essere, sì titubante, ma mai a ritirarsi dalla storia con Leo, è credere che facendo così possa fare del bene alla famiglia.
Mariagrazia, madre di Carla e Michele, vedova da anni, cerca in Leo ciò che può essere paragonabile ad un’isola felice, un posto che le doni sicurezza e pace. Essendo però molto ingenua, e mettendo anche a volte i piani familiari in secondo piano, non andrebbe mai a pensare che Leo abbia una relazione con i suoi interessi. L’amante invece, che sta cercando in tutti i modi di creare il suo spazio nella famiglia, trascura la donna per favorire la figlia: invitandola numerose volte a casa sua, indifferente a che cosa potrebbe accadere.
In diverse scene, quando tutto il gruppo si sposta in macchina per partecipare a serate borghesi in città, i personaggi vengono descritti nello stesso modo: Leo alla guida, Mariagrazia che da un lato cerca lo sguardo dell’amante e dall’altra ammira in quale sfarzo vive, Carla che cogitabonda guarda la strada, ed infine Michele, assuefatto dalla mortale indifferenza che lo blocca, lo ferma, e non gli permette di agire come gli altri sono soliti fare.
Michele è lo stesso che prova in tutti i modi a mettere fine all’effimero che circonda tutta la sua famiglia e che secondo il suo parere, mette in primo piano non il benessere dal punto di vista personale ma solo da quello materiale.
Si nota il sentimento di astio che prova nei confronti di Leo e talvolta verso la sua compagna Lisa che pur volendole bene, non riesce a dimostrare quel sentimento superiore tipico di due persone legate in quel modo, cercando di conseguenza di impedire il futuro matrimonio tra Leo e Carla, ritenuto da lui privo di sentimento.
Proprio così si conclude il romanzo, in realtà senza una reale fine, lascia tutto ciò che racconta in sospeso.
Il buon Leo chiede la mano a Carla, non lasciando però l’impudico letto di Mariagrazia, ed entrambe sembrano essere d’accordo: farebbero di tutto per evitare la fine della loro esistenza borghese.
Carla, pur priva di alcun sentimento affettivo nei confronti del suo sposo accetta la proposta, si lascia quindi andare alla passione che offre Leo. Michele rimane indifferente: come viene presentato all’inizio se ne va alla fine: non lo definirei un personaggio statico, o almeno non nella sua indifferenza.