Horus e Anubis, accompagnati da Thot, corsero nella camera dove dormivano, un tempo, i sovrani, nel tempo della pace di cui Horus aveva solo sentito parlare.
La mano scottante, palpitante di terrore di Horus stringeva quella gelida di Anubis.
Come entrarono nella camera: Nefti era a fianco a lei. tolta la sontuosa veste rossa e dorata, Iside era avvolta in una semplice sottoveste di lino.
Era sdraiata sul letto, con la gola bendata e ancora sporca di sangue, praticamente esanime, la sua pelle grigiastra.
Horus si sedette sul letto e le tenne la mano. Sua madre gli aveva insegnato a essere forte ma solo ora si rendeva conto di non sentire di non esserlo.
Voleva non piangere…
Anubis fece lui segno di spostarsi. Thot tolse le bende sporche: sia Horus che Nefti si voltarono.
>Poi si lavò le mani in una bacinella d’acqua, imbevette un panno con una miscela a base di aceto e lo premette sulla gola aperta di Iside.
Un tremore parve attraversare il corpo di lei.
Anubis, che preparava le bende e il sale, alzò repentino lo sguardo.
Ma, anche se sempre all’erta, comunque proseguì ad applicare delle bende leggermente bagnate di acqua salata: e allora la dea emise un gemito di dolore.
Tutti si drizzarono in piedi, tranne Thot, che rimaneva a controllarla.
Gli occhi di Iside, semichiusi, rotearono fino a posarsi su di essi.
Anubis sguainò un pugnale e lo alzò sopra Iside, che spalancò gli occhi.
“Anubis!” gridò Horus trattenendolo. L’altro lo spinse via. Sollevò il pugnale e parve incidere la bocca di Iside da una parte all’altra. Lei sussultò, con uno spasmo in avanti.
Ma non era ferita.
Tranne Thot, che era rimasto imperturbabile tutto il tempo, tutti lo guardarono, stupiti.
Horus guardò sua madre, che ora lo guardava fisso. Le prese le mani.
“Madre?”
Iside si voltò da lui. Sorrise. E nonostante la sua gola fosse recisa…
“Figlio… mio…”
Lei ora parlava.
“Tu parli! Parli, madre!”
“Le ha ridonato la voce.” spiegò Thot.
Anubis usava quel pugnale per “aprire” la bocca dei defunti che giungevano nell’aldilà. I morti sono muti, ma poiché nel giudizio finale al cospetto degli dei avrebbe dovuto fare un solenne giuramento, era necessario che parlasse.
Horus le si gettò tra le braccia. Anche Nefti si aggiunse all’abbraccio e poi dopo un po’ di esitazione, anche Anubis. Iside non disse altro, però sul suo volto era dipinto uno stanco, ma dolce sorriso.
E così stettero, fino a che non si addormentarono.
Thot dormiva nella stanza a fianco con Nefti, mentre Horus era seduto accanto al letto della madre. Anubis dormiva racchicchiato per terra, in un angolo.
Si udirono dei passi. Una figura comparve nel buio, i suoi occhi e il suo pugnale scintillavano di una luce sinistra.
Si avvicinò pericolosamente a Horus.
Anubis, in grado di sentire tutto, si svegliò e balzò addosso alla figura, cercando di azzannarlo al collo.
La figura soffocò un urlo. Cercò di avventarsi sul nipote Horus
Anubis cercò di svegliarlo.
Horus, stremato, si alzò a fatica. Ma non fece in tempo a reagire che dall’occhio sinistro, con cui vide la figura appena con la coda dell’occhio, non ci vide più. Un dolore lancinante.
Uno stridio trafisse l’aria.
Nefti si alzò di scatto. E Iside si svegliò, i suoi occhi sbarrati.
Era riverso a terra, la sua palpebra era vuota, il sangue copioso e scuro circondava l’orbita e scendeva come una cascata vermiglia. L’occhio cadde e si divide in 6 pezzetti luminosi, che si dispersero nell’aria.
Voleva alzarsi, Iside, e gridava.
Nefti la trattenne, rassicurandola, mentre Thot accorreva.
Il tempo stringeva e mentre Nefti chiudeva la bocca a Iside per impedire alla ferita di riaprirsi, Thot vide un amuleto dell’Occhio destro di Ra sul comodino
Ebbe il tempo di prenderlo, vogerlo al contrario e glielo piazzò nell’orbita.
Horus sussultò, sentendosi mano a mano rinvigorito. Alzatosi, ordinò alle donne di restare in casa e ad Anubis e Thot di vegliare su loro.
Rincorse Set, e tornarono sul campo di battaglia.
L’occhio di Ra gli infuse forza.
>Nello scontro finale Horus fu da subito in netto vantaggio, e Set, sebbene forte, era indebolito dai giorni di guerra e dalla breve lotta contro Anubis.
Quella decisiva fu una notte senza luna.
Stavolta Horus non attaccò: volava in alto e scendeva in picchiata, ma non attaccava direttamente. Invece faceva finte per poi balzare in aria. Set non riusciva a prenderlo.
Dopo aver portato allo sfinimento Set, lo gettò a terra, in picchiata, la sua arma contro di lui.
Horus era in piedi, trionfante: Set a terra, prono, ai suoi piedi, ma non in atteggiamento di preghiera. Di sfida.
“Hai vinto, Horus” disse, con voce roca, ghignando. “Finisci l’opera.”
Horus prima l’avrebbe fatto volentieri. Ma ripensò alla madre…
“No.”
Set lo fissò, il volto contrito. Come no? Aveva visto cos’è successo a sua madre, come aveva pagato la sua pietà.
Ma ora per Horus ciò che era successo a Iside era diventato per lui non un tradimento: un modello di virtù, di pietà.
Set si sentì umiliato, offeso. Sarebbe morto con onore, in battaglia, e Horus sarebbe stato visto lui come un assassino, un usurpatore. E invece gli era toccato vivere. Che onore aveva?
“Ha un sapore amaro, la pietà.” pensava Horus.
Finita la disputa fisica tra i due, essi, sfiniti, si ritrovarono di fronte al trono celeste del Sole, Ra, a decidere a chi sarebbe spettato il Regno.
>Il supremo Ra, insieme ad altri giudici divini, stabilì che a Horus, in quanto figlio del sovrano precedente e legittimo erede, era destinato a regnare sul Regno riunito.
Set invece, assassino, usurpatore, sarebbe stato bandito dall’Egitto e non avrebbe più avuto alcun diritto sul trono.
Nefti e Horus, che abbracciava e sorreggeva la madre che era ancora in convalescenza, tornarono finalmente a palazzo da Thot senza più timore alle prime luci dell’alba.
Thot tendeva alle ferite di Horus, mentre la madre era accasciata su un divano di fronte al letto. Dopo aver curato le ferite sul busto, le braccia e le ali, prese un contenitore e lo porse a Horus.
Lo aprì: era il suo occhio, di nuovo intero. I suoi pezzi erano dispersi nel Nilo ed era stata Nefti a recuperarli.
Thot risistemò l’occhio nella palpebra vuota. Horus subito rimase quasi accecato dalla luce del Sole che tornava ad illuminare i due occhi insieme.
L’occhio sembrava ancora più luminoso ancora. Quando la faccia tonda della Luna sorgeva dalle acque del Nilo, Horus riacquisì completamente la vista.
Sedutosi alla finestra, osservando la notte, prese l’amuleto con l’occhio di Ra rovesciato, recitò una preghiera e lo pose sul suo petto.
L’occhio al tempo stesso di Ra, il Sole, e il sostituto dell’occhio della Luna di Horus: l’occhio che tutto vede.
E venne il giorno dell’incoronazione Iside, la Regina Madre, lo accompagnò nella sala del trono una volta appartenuto al marito, seguita da Nefti, Thot e anche Anubis.
Horus fece giuramento di fronte alla benedizione Sole e si prostrò a lui. Si rialzò con le corone sul capo: non una, due, quelle che erano del Basso e l’Alto Egitto, e che ora erano divenute una sola.
Sentiva l’inno cantato dai ministri.
“Salute a te, o Nilo uscito dalla terra, venuto per far vivere l’Egitto!”
Era nato il nuovo regno.
Da questo immenso, straordinario mito ebbe origine tutta la simbologia e il culto religioso dell’antico Egitto.
In seguito a questi avvenimenti, Iside fu venerata come dea della magia, dell’amore, della compassione, come protettrice del matrimonio e della maternità, ma in seguito a questi avvenimenti anche come madre del primo Re d’Egitto, e anche madre spirituale di Osiride, in quanto lo resuscitò per dare vita a Horus.
Quando Horus salì al potere lei divenne inoltre regina dell’Oltretomba inseme all’amato Osiride.
Nefti divenne una dea dell’Aldilà, della morte e dei lamenti funebri, protettrice degli uomini dall’agonia nel momento della morte.
Suo figlio Anubis, celebre, Dio dei Morti, dio della mummificazione, protettore delle necropoli dei mortali e dei Re, presiedeva al Giudizio finale del tribunale di Osiride, al tempo stesso dio dell’ordine, della feritilità e re dei Morti.
Il morto, con il suo corpo intatto e l’amuleto contenente il suo cuore in mano, si ritrovava nell’immensa Sala del Giudizio.
Anubis prendeva l’amuleto del defunto e lo poneva su un piatto della bilancia posta al centro della sala. Nell’altro piatto Maat, la dea dell’equilibrio e la giustizia, poneva la piuma che portava tra i capelli.
Allora era il momento decisivo.
Se il cuore era più pesante della piuma, voleva dire che l’anima del defunto era appesantita dai peccati: quindi veniva dato in pasto alla dea coccodrillo Ammit. Questa era la vera morte, l’essere il nulla.
Se invece era più leggero della piuma, l’anima virtuosa poteva quindi accedere ai campi Aaru situati a Est, dove sorge il sole.
Qui regna davvero Osiride, in una replica del regno delle origini: un regno che conosce solo il Bene, che oggi chiameremmo Paradiso. Qui gli uomini vivono in armonia nella natura, il grano cresce alto, essi vivono in pace con i propri cari e dove il caos non arriva mai.
La figura di Set alla fine venne in parte riscattata poiché, nonostante fosse dio del Caos, re del deserto, della violenza, dopo l’esilio gli venne affidato il ruolo di guardiano della barca del Sole durante il suo viaggio notturno nelle tenebre.
In particolare viene spesso raffigurato combattere, con altre divinità benevole, il mostro dalla forma di serpente Apopi, che minacciava il corso del Sole durante la notte.
Perché questo compito? Poiché il simile scioglie il simile, così il male non può essere sconfitto se non dal male.
E poi, se avessero inflitto una punizione troppo dura su di lui, la sua vendetta sarebbe stata terribile e avrebbe potuto minacciare il nuovo Regno che si era venuto a creare.
Prima di questo mito, all’origine, gli elementi come Cielo e Terra, Caos e Ordine, Bene e Male, Vita e Morte erano divisi e inconciliabili. L’equilibrio era Ordine, Bene, Vita.
Ma l’equilibrio nel mondo dei Vivi assunse un nuovo significato. Equilibrio è Legame.
Tutto è diverso ma anche simile, e convive con l’altro opposto.
La Vita non è il contrario della Morte: perché la Morte nei campi Aaru è la vita eterna. E l’Equilibrio non è solo il Bene, poiché basta poco per turbarlo in un mondo dove esiste anche il Male: invece anche un po’ di questo può sconfiggere il suo simile. L’assenza di uno o dell’altro “opposto” porta lo squilibrio e la rovina, mentre la loro conciliazione li fonde in un’armonia portatrice di pace e Ordine.
Horus salì al potere come primo vero sovrano del Regno d’Egitto, e della Terra stessa. Una Terra nuova, viva, di Ordine e il Caos, Bene e Male, Vita e Morte riuniti nella Rinascita.
Fine