Giovedì 25 marzo è stata la giornata dedicata alla celebrazione del poeta e orgoglio fiorentino e mondiale Dante Alighieri, il “Dantedì”. A seguito di ciò, sabato 27 marzo, abbiamo avuto modo di svolgere un incontro online con il professor Francesco De Nicola, presidente della società “Dante Alighieri” di Genova. Quella del professore è stata senz’altro una delle conferenze più interessanti e particolari a cui io personalmente abbia mai assistito, soprattutto per il modo in cui ha deciso di trattare la materia: ha infatti integrato nel suo discorso generale sulla vita di Dante delle risposte alle critiche mosse al “Sommo Poeta” da un giornale di Francoforte, un’interessantissima trovata per parlare di una personalità così importante, questo rispetto a quello che poteva essere il solito discorso trito e ritrito su qualcosa che non ha assolutamente motivo di essere considerato “non attuale”.
Proprio questa infatti è una delle critiche mosse al poeta e nello specifico alla sua magnum opus, naturalmente, La Divina Commedia: questa, secondo il giornale tedesco, “non sarebbe per nulla attuale e non dovremmo cercare di renderla tale”. Il professore è stato abilissimo nello sfruttare questa affermazione per sviluppare un discorso in grado di mostrarci come invece non sia per nulla così: Dante, nel corso del suo viaggio allegorico, incontra personaggi e situazioni di ogni tipo, dannati macchiatisi di ogni colpa, che gli raccontano di sé e del mondo, è vero, dell’epoca: ma, solo perché si parla di una cosa passata, non significa che non possiamo imparare qualcosa sul presente, o forse anche sul futuro.
La Divina Commedia parla di corruzione, dell’importanza del denaro nella società, a cui si affianca un conseguente decadimento morale: non è forse quello di cui ogni giorno sentiamo noi oggi, nel 2021, dopo settecento anni dalla morte di questo Dante “antiquato”? Vero è anche che un tema come quello del denaro che corrompe gli uomini è estremamente facile da riscontrare in quasi tutti i periodi della storia umana, ma non è certo l’unico esempio di “modernità dantesca”: vediamo per esempio nel canto XXVI, che ha come protagonisti Ulisse e Diomede, come ci sia un’incitazione da parte dello stesso eroe Ulisse a non rimanere vittime dell’ignoranza, ad esplorare “oltre le colonne d’Ercole”, siccome “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Dante, tramite Ulisse, sta introducendo un tema di ampliamento delle proprie conoscenze, di viaggio e di scoperta, di novità, di apertura mentale. Scrive questo in un’epoca tutt’altro che dinamica, in un contesto ben diverso da quello di oggi, eppure è decisamente qualcosa di ancora molto attuale, un’esortazione che arriva a noi oggi e che dovremmo decisamente cercare di fare nostra.
Ancora più semplice da allontanare è la critica mossa a Dante di “non aver inventato niente”. Inventare… dalla radice del verbo latino “invenio”, che significa “trovare”… Nessun autore “inventa” nulla di sana pianta, l’autore trova, e rielabora, fa suo, per poi creare qualcosa di nuovo che necessariamente avrà delle basi di partenza. Ogni autore e poeta ha dietro di sé una storia della letteratura a cui, in modo conscio o meno, fa riferimento; ognuno nasce in un certo contesto che lo influenza in un modo o nell’altro, di conseguenza nulla di ciò che facciamo è “nuovo” in senso assoluto. Ma se c’è davvero qualcuno a cui fare questa critica, non è certo Dante: lui che ha posto le basi per la lingua italiana di oggi, “inventando” addirittura alcuni termini diventati poi parte integrante del nostro vocabolario.
L’ora e mezza di conferenza con il professore De Nicola è volata, questo non solo grazie al modo in cui ha deciso di organizzare il discorso, ma anche all’abilità nel parlare e nel coinvolgere chiunque lo ascolti; sicuramente una degna celebrazione del poeta probabilmente più importante mai esistito.