Come già detto nell’articolo precedente, un universo di orrore e follia è scaturito dall’illimitata immaginazione dello scrittore di horror fantascientifico H.P. Lovecraft. A differenza di molti suoi predecessori, o della narrativa horror a cui oggi siamo abituati, l’orrore da lui tratteggiato ha le sue ragioni in una precisa filosofia.

La paura secondo Lovecraft

Possiamo dire che ciò che incute paura nelle sue opere non è mai la creatura in sé, nella maggior parte dei casi invisibile o indescrivibile, ma l’idea di Universo che dalla sua presenza scaturisce. Il suo mondo spaventa, fa perfino inorridire, perché è insensato, folle, sorretto dall’onnipotente legge del caos, che sopravvive alla morte e allo scorrere del tempo.

L’uomo vive nell’inquietudine, sull’orlo di un baratro. E’ costantemente sottoposto alle forze cosmiche caotiche, incomprensibili, ineludibili, che possono spazzarlo via in qualsiasi momento, senza che lui nemmeno se ne accorga o che possa porvi alcuna resistenza.

Non viene presentato il timore della morte, ma il terrore per degli esseri orrendi e incomprensibili, per i tormenti eterni che superano il dolore della carne, per le circostanze irrazionali che ci possono colpire improvvisamente, fino alla follia e alla morte senza riposo.

Dagon e Chtulhu – I Grandi Antichi

La forza delle suggestioni di Lovecraft è tutta qua: sceglie di far paura senza descrivere nulla.

La scena era un vero e proprio caleidoscopio: nella confusione di apparizioni, suoni e non meglio identificati stimoli sensoriali ebbi l’impressione di stare per dissolvermi, o comunque di perdere la forma solida. […] Ricorderò sempre un lampo ben definito che mi permise di osservare, per un momento, una chiazza di cielo notturno nient’affatto familiare e illuminato da sfere lucenti in movimento; sfere che, allontanandosi, formavano una costellazione o galassia di forma precisa. […] Un’altra volta sentii grandi cose animate che mi sfioravano e di tanto in tanto camminavano o scivolavano attraverso il mio corpo, che avrebbe dovuto essere solido. […] Forme indescrivibili, vive o no, parevano mescolate in un disordine disgustoso e intorno agli oggetti familiari c’erano mondi interi di entità ignote, sconosciute.

Dall’altrove – Lovecraft

Il cosmicismo: Leopardi

Il re in giallo – Lovecraft

Possiamo infatti definire la filosofia di Lovecraft come cosmicismo, esito di un percorso filosofico ben delineato. Il primo a spianare la strada a questa concezione dell’Universo è stato, senza dubbio, Leopardi.

Il poeta, riflettendo sulla natura della sofferenza e dell’infelicità esistenziale, fu il primo ad elevare tale sentimento al rango di ‘cosmico’. Il così detto ‘pessimismo cosmico‘ è la dottrina filosofica per cui la Natura, agendo in maniera incosciente e casuale nel mondo, provocherebbe il dolore di tutti gli esseri viventi.

Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi. Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di souffrance, qual individuo più, qual meno.

Il giardino del dolore, Leopardi

Il cosmicismo: Schopenhauer

Un simile discorso è stato sviluppato parallelamente da Arthur Schopenhauer, per cui la Natura matrigna di Leopardi acquisisce una precisa connotazione filosofica.

L’origine del dolore umano e di tutti gli esseri sarebbe la Volontà, ovvero l’impulso del desiderio che porta la vita a perpetuare se stessa. E’ un istinto infinito, a differenza di ogni essere vivente, per sua natura mortale; questo fa sì che ogni desiderio sia eternamente inappagabile, portando ad un dolore continuo. La vita non avrebbe quindi nessun significato, se non quello di permettere alla Volontà di continuare ad esistere. Tutto è privo di senso, l’esistenza non ha alcun fine ultimo. Il cosmo non è altro che un ingranaggio funzionante attraverso leggi fisiche fisse, in cui la morale e la ricerca di felicità umana non hanno spazio.

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia.

Arthur Schopenhauer

Il cosmicismo: Lovecraft

Il cosmicismo di Lovecraft fa un passo ulteriore: non è tanto l’assenza di significato dell’Universo a doverci spaventare, quanto l’infinitesima natura umana confrontata all’immensità di questo niente.

Il cosmicismo è una conseguenza del profondo ateismo di Lovecraft e della sua opinione che il cosmo sia così grande e complesso, che l’uomo può sperare di percepirne e comprenderne, sì e no, solo quello che lo tocca direttamente. Questa possibile natura del mondo, è ciò che fa veramente paura in Lovecraft. Nell’effimera capacità di descrivere le leggi fisiche del mondo sensibile, l’uomo si sente superiore ad ogni essere e proiettato alla conoscenza di tutto ciò che è. Invece, questa arroganza, è immediatamente stroncata dal buio che la scienza si trova davanti ad ogni passo che fa. E l’uomo, di per sé, viste le esigue capacità cognitive, di fronte alle inimmaginabili scoperte di cui è vittima nei suoi racconti, viene spinto alla follia.

Nelle infinite distese dello spaziotempo, ogni certezza umana diviene una ridicola illusione di poter spiegare razionalmente un mondo fondato sul caso. Tutto è sconquassato dalle leggi del caos, da forze sovrumane, da creature sovradimensionali tanto grandi da non essere nemmeno avvertite e in tutto questo, l’uomo può solo sperare di non finire inavvertitamente condannato a pene eterne a causa dell’azione distratta di una qualche divinità cieca, folle, forse stupida.

Azathoth – gli Dei Esterni

Le creature e le forze che plasmano l’Universo sarebbero, infatti, del tutto indifferenti all’esistenza umana e se ancora esistiamo è per pura fortuna: questo è ciò che è detto indifferenza cosmica. Questa possibile natura del mondo, è ciò che fa veramente paura in Lovecraft.

Ritengo che la cosa più misericordiosa al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in correlazione tutti i suoi contenuti. Viviamo su una placida isola di ignoranza nel mezzo del nero mare dell’infinito, e non era destino che navigassimo lontano. Le scienze, ciascuna tesa nella propria direzione, ci hanno finora nuociuto ben poco; ma, un giorno, la connessione di conoscenze disgiunte aprirà visioni talmente terrificanti della realtà, e della nostra spaventosa posizione in essa che, o diventeremo pazzi per la rivelazione, o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di un nuovo Medioevo.

Il richiamo di Chtulhu – Lovecraft

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