Come si può intuire dal titolo, questa serie di articoli si vogliono proporre come un “tributo” a determinati album musicali di celebri band che, tuttavia, sono passati ingiustamente in secondo piano.

All’interno di questo primo articolo si parlerà dei Radiohead, il mio gruppo musicale preferito, con le giuste motivazioni: sono infatti considerati dai critici come una delle migliori band di alternative rock della storia e hanno per questo ispirato, nel corso della loro carriera, artisti di fama globale, fra cui spiccano anche i Muse, di cui parleremo nella prossima puntata. 

Amnesiac

La band, il cui leader è il cantante Thom Yorke, nacque nel 1985 con il nome di On a Friday, primo embrione dei futuri Radiohead. Questi debuttarono con il singolo “Creep”, che (pur restando un dignitosissimo brano) non rende giustizia alla loro sete di originalità e di espressione delle proprie idee, che si manifesterà con il disco OK Computer (1997). Il disco segna una svolta storica nell’evoluzione della musica sperimentale, consolidata successivamente dall’album probabilmente più significativo della loro discografia: Kid A (2000), pietra miliare del rock, nonché dichiarato dalla rivista Rolling Stones come “l’album rock più innovativo degli anni duemila”.

L’anno successivo rispetto a quest’ultimo disco ne verrà pubblicato un altro, di cui oggi parleremo, Amnesiac (2001), che più di tutti mi ha profondamente segnato. Forse “eclissato” parzialmente dal precedente successo di Kid A, spesso non appare nelle classifiche e non vi può essere nulla di più sbagliato. Gli inglesi lo definirebbero “hauntingly beautiful” e penso siano le parole giuste per descriverlo. L’album è l’anello di congiunzione della perfetta armonia che la band ha sempre ricercato fra diversi generi musicali apparentemente distanti: il rock elettronico, il free jazz e la musica classica. L’unione fra i suoni meccanici della musica elettronica trovano i loro perfetti compagni nei suoni così umani e melanconici della voce inconfondibile di Thom Yorke e degli altri classici strumenti.

La copertina

La copertina dell’album stesso anticipa i sentimenti che ci accompagnano nel corso dell’intero ascolto. Come si può vedere, rappresenta un diario rosso piuttosto rovinato; al di sopra è rappresentata una personcina stilizzata e raggomitolata in sé stessa, chiusa all’interno di quella che può sembrare una specie di stanza. L’artwork è stato disegnato da Stanley Donwood e l’idea scaturì nella mente dell’artista durante un viaggio in treno per Londra. Cominciò a vedere la città come il labirinto del Minotauro, icona legata al disco: tutti possiamo essere il Minotauro, in quanto noi tutti siamo dei mostri, mezzi umani e mezze bestie, intrappolate nel labirinto del passato.

Packt like sardines in a crushd tin box

La prima traccia del disco “packt like sardines in a crushd tin box” parla proprio di tale sentimento di reclusione. Il cantante si sentiva recluso all’interno di un’esistenza priva di qualsiasi significato da cui non poteva uscire; così come si sentiva recluso in una società che, nonostante non fosse un uomo malvagio, in alcuni casi lo ha dipinto come tale. 

After years of waiting, nothing came

And you realize you’re looking in, looking in the wrong place

I’m a reasonable man, get off my case, get off my case

Pyramid song

Questa canzone è la più celebre dell’interno disco. Il titolo originale doveva tuttavia essere “Egyptian song”, titolo azzeccatissimo dal momento che Thom Yorke era rimasto particolarmente suggestionato dall’iconografia egiziana del fiume della morte. Tuttavia, bisogna notare come il titolo definitivo sia stato scelto anche in base alla struttura della canzone stessa, la quale ripete lo schema 3 3 4 3 3. Trascrivendo queste cifre secondo la rappresentazione pitagorica dei numeri, possiamo vedere come il numero tre formi un triangolo e il quattro invece un quadrato. La piramide è infine geometricamente composta da quattro facce costituite da triangoli ed una base quadrata: possiamo quindi notare come la canzone stessa sia piramidale. La suggestione del fiume della morte si unisce agli studi di Stephen Hawkings e del tempo come quarta dimensione e come ciclico, argomento che interessò particolarmente Thom Yorke in quel periodo.

I jumped in the river and what did I see?

Black-eyed angels swam with me

A moon full of stars and astral cars

All the things I used to see

All my lovers were there with me

All my past and futures

And we all went to heaven in a little row boat

There was nothing to fear and nothing to doubt

Il video musicale, disegnato nello stile di un videogioco indie, vede come protagonista un uomo che decide di gettarsi in questa distesa d’acqua (rappresentante il suddetto fiume) per raggiungere il salotto di casa sua, completamente sommersa. Il video ha quindi aperto la strada verso un’ultima teoria, non confermata, ovvero che la canzone in realtà parli fra le righe proprio di suicidio.

You and whose army?

La canzone è in linea con quella musicalità sognante che unisce l’intera discografia della band, fino ad un cambiamento quasi improvviso del brano con un’entrata trionfale del pianoforte che ci fa vivere l’ebbrezza della libera corsa su tali “ghost horses”, rappresentanti una vaga e falsa minaccia. Il testo infatti parla proprio di un’autorità eletta dal popolo, lo stesso popolo che tuttavia spudoratamente ha il coraggio di tradirla, senza tuttavia avere i mezzi per poter insorgere. La canzone, con un tono fortemente satirico, riporta la guerra ad un gioco fra bambini cattivi, un gioco che non guarda in faccia nessuno.

You and whose army?

You and your cronies

You forget so easy

We ride tonight

We ride tonight

Ghost horses

I might be wrong

Thom Yorke scrisse questo brano in una situazione di profonda crisi. In quel periodo viveva in una casa sulla spiaggia e, passeggiando sulla sabbia, guardando indietro verso il suo appartamento, pur consapevole che la casa fosse completamente vuota, vide una figura scura camminare davanti ad una finestra. Decise di rientrare e si sedette quindi al pianoforte ispirato a comporre, con tale presenza che percepiva ancora aggirarsi per la casa. La canzone rappresenta la volontà di lasciarsi indietro il passato, così da raggiungere la luce del futuro, abbandonando gli errori e i rimorsi delle scelte passate.

Open up, begin again

Let’s go down the waterfall

Think about the good times and never look back

Never look back

Il titolo è ispirato da una famosa frase del filosofo Russell: non morirei mai per le mie convinzioni, perché potrei essere nel torto

Knives out

La canzone ha diverse profonde interpretazioni, tutte fornitegli dalla band stessa. Come si può evincere dal videoclip, che appare quasi come un sogno allucinato, il brano narra la storia di un uomo di affari che lascia la sua casa, con moglie e figli, per non tornare mai più indietro. L’interpretazione più malinconica vede invece la canzone come la raffigurazione di quell’ultimo sguardo che viene scambiato con una persona a noi vicina nel momento della sua morte, quel momento in cui comprendiamo che non potrà mai più tornare indietro. 

I want you to know

He’s not coming back

Look into my eyes

I’m not coming back

So knives out

Catch the mouse

Don’t look down

Shove it in your mouth

L’ultima interpretazione viene compiutamente spiegata dalle parole degli autori stessi: It doesn’t hurt many people when someone disappears, they can take advantage of what remains.”

 

 

Like spinning plates

Essa è collegata al precedente “Dollars and cents”, che nasce da una sessione improvvisata di 11 minuti registrata in studio, attraverso un brano unicamente strumentale intitolato “Hunting bears”. La canzone è caratterizzata dalla voce distorta di Thom Yorke: anche se può sembrare incomprensibile, canta in realtà in reversed il testo di un brano che verrà pubblicato alcuni anni dopo in “Hail to the thief” (2003). Come si può vedere nel videoclip dallo stile futuristico, essa è dedicata ai nostri “gloriosi leaders”, come ha detto Thom Yorke stesso, che ci hanno visto come un mezzo per mandarci in guerre che nessuno desiderava, uccidendo migliaia di vite innocenti.

While you make pretty speeches

I’m being cut to shreds

You feed me to the lions

A delicate balance

Life in a glasshouse

Questo è il brano di chiusura del disco e posizionarlo come tale fu una scelta geniale. Come alcuni critici hanno notato, infatti, le tracks sono posizionate in una sorta di ordine cronologico: partendo da riferimenti all’antico Egitto che si riscontrano in “Pyramid song”, al Sacro Romano Impero in “You and whose army?”, passando per il Far West in “Hunting bears” e infine approdando ai New Orleans jazz funerals proprio in tale traccia.

La canzone è ispirata ad una notizia di cronaca che aveva suscitato grande scalpore: la moglie di un famoso attore, impegnato nelle riprese di un film e di cui si vociferava fosse occupato in una relazione extra-coniugale, era tormentata dai paparazzi, che la inseguivano fin fuori casa. Si sentiva così soffocata da decidere di stampare su carta le stesse foto che questi predatori le avevano scattato e appenderle sulle finestre di tutta la casa, così da riottenere parte della sua privacy.

Once again, I’m in trouble with my only friend

She is papering the windowpanes

She is putting on a smile

Living in a glasshouse

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