Nell‘anno del centenario dalla nascita del regista, e a poche settimane dall’anniversario della sua morte avvenuta il 2 novembre a Ostia, il mito di Pasolini è ancora  presente nel tessuto culturale e cinematografico del nostro paese. 

Il primo vero successo lo ebbe a 33 anni con la pubblicazione di “Ragazzi di Vita”, il  suo più celebre romanzo . Crudo, senza speranza, e carnale: questi sono gli aggettivi che si addicono maggiormente all’opera. Per criticare la classe dirigente, il giovane Pier Paolo parte col descrivere le condizioni delle borgate romane brulicanti di sottoproletari i quali, per sopravvivere, dovevano strusciare tra la folla sorda della borghesia, andando incontro a morte certa. 

Celebre e assai rude è l’ultima parte del romanzo, dove uno dei ragazzi figli del sottoproletariato viene trascinato e inghiottito dalla furia del fiume Aniene, senza possibilità di muoversi e agire. Il popolo era immobile sotto i potenti. 

“Gettarsi a fiume lì sotto il ponte voleva proprio dire esser stanchi della vita, nessuno poteva farcela”.

La prima esperienza  cinematografica: Accattone e Mamma Roma

Con l’inizio dei gli anni 60’ Pasolini iniziò a cercare la possibilità di esprimere il suo pensiero anche tramite l’immagine. Impugnò la cinepresa con il suo primo  film: “ Accattone”, presentato la prima volta nel 1961. Il personaggio principale è un ragazzo facente parte delle borgate romane, senza alcun tipo di emancipazione: è il film più veritiero in merito alla classe dei sottoproletari, che sono infatti completamente estranei al desiderio e alla facoltà  di diventare qualcuno. Hanno già perso senza nemmeno aver lottato e senza la possibilità di farlo, non avendo coscienza del mondo esterno se non il loro. Il film finisce con lo sprofondamento da parte dei personaggi nell’abisso della propria condizione, senza rendersene conto.
Un film più “consapevole” è quello successivo ad “Accatone”, uscito l’anno seguente: “Mamma Roma”. Questa pellicola è sempre ambientata nei quartieri periferici della capitale, ma la protagonista, ovvero “Mamma Roma”, prende coscienza del proprio destino cercando di impartire al figlio un’educazione che possa permettergli di emanciparsi, anche se tramite una piccola e velleitaria morale borghese. È anche un film prettamente autobiografico, dove si intuisce l’amore quasi morboso nei confronti della madre che Pier Paolo provava.


Il racconto della borghesia: Ricotta e Teorema 

Nel 1963 esce una raccolta di cortometraggi d’autore chiamata “Ro.Go.Pa.G”, le sigle presenti nel titolo fanno riferimento ai registi che parteciparono questa serie di quattro film brevi: Roberto Rossellini, Jean- Luc Godard, Pier Paolo Pasolini e Ugo Gregoretti. 

Con i suoi 40 minuti, “Ricotta”, diviene un vero e proprio racconto sulla borghesia del tempo e il rapporto con le classi meno abbienti.

Per la prima volta viene introdotto il tema della “Passione di Cristo”, presente successivamente nel film “Vangelo Secondo Matteo”. Il protagonista è un ragazzo che sta recitando in un film dove era tenuto a interpretare uno dei ladroni presenti alla crocifissione. Il suo personaggio è la personificazione della “golosità”: egli infatti, durante la pausa tra una ripresa e l’altra, cerca di rimediare del cibo dopo aver donato il suo cestino da pranzo; va da un ricottaro, si abbuffa della sua ricotta e, successivamente, quando iniziano  nuovamente le riprese dopo la pausa, muore in croce. L’attore che sta interpretando il regista è il classico signorotto borghese, impassibile a ciò che accade intorno a lui e insofferente della miseria altrui; conclude così il suo copione, con un velo di finta compassione nella sua voce: 

“ Povero Stracci (il ragazzo che interpretava il ladrone), crepare, non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo”.

Qualche anno dopo, uscì nelle sale il film anti- borghese per eccellenza: “Teorema”, dove la vita di una tranquilla famiglia  viene stravolta dall’entrata di un nuovo personaggio il quale, all’inizio, avrà dei rapporti erotici con la figlia del capofamiglia, per poi “sverginare” tutto il nucleo famigliare.

Questa pellicola descrive l’inizio della caduta dei valori tipicamente “universali” in ambito capitalista, legati al sesso e al rispetto interpersonale.

La trilogia della vita e della morte: Il Decameron, I Racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte, Salò.

Nel “Decameron”, primo delle quattro pellicole, il regista usa un volo pindarico per passare dalla società moderna ad un ambiente medievale, non tralasciando il fine ultimo del film, ossia quello di critica del paradosso dell’individuo, sottolineando le somiglianze dell’uomo delle due epoche. Il senso di questo racconto è proprio il corpo. Le membra nude e carnali della società che andrebbero sicuramente a scandalizzare chi guarda, vengono usate come mezzo nel dialogo con gli individui. Anche se la società muta, il corpo è  infatti immutabile di generazione in generazione; ciò che vuole far trapelare Pasolini tramite questa serie di racconti è la somiglianza esperienziale a livello umano.

Come nei Racconti di Canterbury, celebre raccolta di novelle chauceriana della fine del XIV secolo, il regista vuole estendere la “forza immutabile del passato”, tramite il racconto di storielle che vertono su  argomenti più sensuali e ostentati; nel Decameron Pasolini rimane ancora nella fase primitiva del suo progetto, trattando di temi popolari che però noi tutti percepiamo come esterni: il lavoro, il mangiare, l’amore esteriore, e oggetti che  non creano apparente scalpore. 

L’interiorità soggettiva e universale, con il conseguente scandalo, arriva con “Il fiore di Mille e una Notte”, dove in una Arabia assai lontana da noi, si narrano storie che portano con sé  un velo di oniricità. Tanto la virtù erotica con la conseguente impazienza nel possedersi l’un l’altro, quanto la  visione del sesso come abbattimento del muro tra classi sociali (i rapporti tra signori e schiavi), sono emblema di questo film. 

Infine, come l’ultima opera del repertorio pasoliniano vi è “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Si usa ancora il volo pindarico per passare dalla società degli anni 70’ a quella di fine 700’. Il film prende infatti  ispirazione dal libro erotico del Marchese De Sade, scrittore e libertino francese. La pellicola viene ambientata a Salò, luogo fulcro del fascismo. Proprio per creare ancora più scandalo, il regista decise di osare, accreditando al fascismo il ruolo di portatore di sconcezza pornografica.

La pellicola fu censurata, vietata e poi riedita nuovamente dopo anni, proprio a causa delle scene “forti” che presenta: zoofilia, coprofagia, tendenza alla promiscuità. 

Nella sua ultima intervista di Pasolini egli afferma che è “un piacere essere scandalizzati e un dovere scandalizzare”. Toccando argomenti comuni a tutti ma che spesso si tende a coprire e a reprimere, si ha una vera e propria rivoluzione in termini di libertà del proprio corpo. L’unico oggetto che non cambierà mai nella nostra società sono le pulsioni (o istinti) universali in tutti noi.

L’unico modo per far comprendere al meglio la famosa caduta di valori, non sta solo nella descrizione di immagini prettamente esteriori, ma ciò che deriva dai nostri impulsi e si riflette sul nostro corpo.

La maniera corretta per scandalizzare è quella di puntare su argomenti scomodi ma veritieri e, facendo ciò, generare un meccanismo di presa di coscienza che ci porta nel lungo processo verso la libertà: pensando che l’intero progresso per raggiungerla, ne sia già essenza stessa.

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