«Come mai i tossici non diventano schizofrenici?

Non lo so ancora. Uno schizofrenico può ignorare la fame e arrivare a morire se non gli danno da mangiare. Ma nessuno può ignorare l’astinenza da eroina. La realta della tossicodipendenza impone il contatto.”

William Burroughs, vate americano, introduce questo libro come un “manuale a caleidoscopio”. “Naked Lunch” è essenza dell’umanità alla deriva: con lo sfondo di un’ America degradata, sodomita e drogata, lo scrittore esplora il mondo perentorio del “sogno americano” ormai decaduto. Questo “Manuale”, è frutto di viaggi psichedelici e speculazioni su mondi trascendenti che abitano la testa di Burroughs. 

Ciò che sorge dai frammenti di questo libro è l’estrema tendenza ad analizzare ogni sostanza  stupefacente e trarne qualcosa di utile per la sua esperienza di vita. L’utilizzo assiduo di acidi come fuga dalla condizione umana, è simbolo del bisogno di voler riportare viaggi allucinogeni nella realtà, evadendo da essa; passando per orge, materiali immateriali e mantenendo un contatto con l’universo che permette questa evasione: la droga. 

Scrisse al suo dottore in data 3 agosto 1956: 

Caro Dottore,

grazie della sua lettera. Accludo l’articolo sugli effetti delle varie droghe di cui ho fatto uso. Non so se è adatto alla sua pubblicazione. Non ho obiezioni riguardo al fatto che citi il mio nome. Nessuna difficoltà con il bere. Nessun desiderio di fare uso di droghe. Stato generale di salute eccellente. La prego di porgere i miei saluti a Mr. -. Utilizzo quotidianamente il suo sistema di esercizi con ottimi risultati. Ho pensato di scrivere un libro sui narcotici, sempre che trovi un collaboratore idoneo a trattare gli aspetti tecnici.

Ciò che segue a questa lettera è un illuminante elenco di narcotici e dei loro effetti sullo stesso Burroughs. L’uso dell’oppio è di gran lunga quello più citato. Fumato e ingoiato per circa 12 anni, induce a stati che designano il grado di tossicodipendenza. 

Sorge qui  una riflessione sulle differenze tra il malato che necessita di oppiacei (quale la morfina) e un super drogato che li richiede per mantenere un metabolismo della morfina, quindi evitare la via metabolica ordinaria. Entrambi morirebbero per assenza del farmaco: il primo trapasserebbe per il dolore fisico, il secondo per una sofferenza mentale che si trasformerebbe in dolore fisico; non escludendo la via del suicidio per entrambi.  La morfina è quindi portatrice di un benessere palliativo, ma anche di una morte certa se trangugiata e poi smessa di essere assunta. A quanto pare solo l’oppiaceo qui citato crea una dipendenza tale da portare l’individuo a spirare, le altre droghe non assuefano in modo così violento.  La morfinomania, ossia l’ossessione da morfina, è limitante anche verso le altre sostanze. L’oppiaceo desidera provocare euforia da solo, senza aggiunta di altri stupefacenti o bevende.

Il caso più eclatante è quello dell’assunzione in contemporanea di alcolici e oppioidi: l’alcol inibisce l’effetto della dose di morfina, portando il corpo a richiederne altra.

“Durante la crisi da astinenza il tossicomane è acutamente consapevole di quanto lo circonda. Le impressioni sensoriali sono acuite al limite dell’allucinazione. Gli oggetti familiari sembrano animati dai fremiti di una vita furtiva. Il tossicodipendente è soggetto a un fuoco di fila di sensazioni esterne e viscerali. Può provare fugaci istanti di bellezza e nostalgia, ma l’impressione generale è estremamente dolorosa. (Forse le sensazioni sono dolorose a causa della loro intensità. Una sensazione piacevole può diventare insopportabile dopo che si è raggiunta una certa intensità)”

La crisi d’astinenza provata dal drogato è amplificata dal mondo intorno a sè. Se la sostanza provoca effetti che modificano la percezione della realtà, la mancanza dello stupefacente causa una percezione spaventosa e lunatica del mondo, che porta l’individuo a rifugiarsi nella “madre droga”, la quale  trasforma quella situazione in una meno pregna di dolore.  

Durante la sopracitata “crisi” appare uno stato paranoico, simile però a quello assunto durante l’apice dell’intossicazione. Molti  stupefacenti fanno parte dello stesso gruppo per la somiglianza delle reazioni provocate: hascisc e mescalina inducono situazioni di ipersensibilità verso se stessi e il mondo intorno con la presenza di pesanti allucinazioni. Un altro sintomo tipico delle crisi è quello della percezione minacciosa della “realtà”, che  in questo caso viene meno al suo significato denotativo. La visione storpiata delle figure intorno all’individuo, sono comparabili a quelle sperimentate durante gli stadi depressivi. 

La cocaina può alleviare temporaneamente lo stato depressivo che insorge nella fase terminale della sindrome da astinenza; è invece disastrosa nella fase acuta e controindicata a ogni stadio perché induce uno stato di nervosismo per il quale la morfina é la risposta fisiologica. 

Per quando riguarda il suo utilizzo, già più di cento anni fa era il farmaco adatto per curare disturbi depressivi gravi. Sigmund Freud nel suo saggio “Della cocaina” la definisce come sostanza con la quale “non si desiderava altro” o più semplicemente “sostanza magica”. Venne usata su numerosi pazienti per diverso tempo; il risultato ottenuto  era un incremento di energia e euforia da parte del paziente, il quale avrebbe potuto definirsi guarito, se non avesse instaurato un rapporto di dipendenza con essa.

Lo yage o ayuahuaska, droga proveniente dalle Indie, è un narcotico che provoca delle profonde allucinazioni e un totale sconvolgimento sensoriale. Ha anche un forte effetto ipnotico su chi lo usa, abbassa la temperatura ed è un forte antielmintico (anti-parassitario). Quasi tutti i frammenti di narrazione che troviamo nel libro di Burroughs sono scritti sotto l’effetto di questa sostanza. È infatti sconsigliato addentrarsi e cercare di mettersi nell’ottica di capire a fondo il significato di questi racconti, è inutile, se non dopo aver trangugiato un bicchiere di yage. 

A.J. aveva adulterato l’acqua inserendo un rampicante sudamericano che riduce le gengive in poltiglia. (Ho sentito parlare di questo rampicante da un vecchio prospettore tedesco che sta morendo di uremia a Pasto, in Colombia. Si ritiene che cresca nella regione del Putumayo ma non è mai stato localizzato. Non che ci abbiano provato sul serio… Lo stesso cittadino mi ha parlato di un insetto simile a una cavalletta, ma più grande, chiamato Xiucutl: «E un potente afrodisiaco; quando ti vola addosso, se non puoi farti subito una donna muori di sicuro.

Ho visto gli indios fuggire disperati per evitarne il contatto». Purtroppo non sono mai riuscito a procurarmi uno Xiucutl…).

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