Il negazionismo non è un fenomeno prettamente contemporaneo; basti pensare a coloro che nel ‘600 sostenevano che fosse il sole a girare intorno alla Terra, andando contro alla teoria stipulate, utilizzando il metodo scientifico, da Galileo Galilei. Come allora, anche oggi ci troviamo catapultati in una società che preferisce credere nelle parole di finti tuttologi sui social, piuttosto che affidarsi alla medicina e al progresso.
Purtroppo, in questo caso come in molti altri, si creano delle teorie basate su “dicerie“ di prima e seconda mano che, ripetute più volte, possono dare l’idea di avere un fondamento, ma che in realtà rappresentano l’ignoranza e la grande disinformazione generale, fattori che ormai da secoli portiamo sulle spalle e da cui consegue ogni grande crisi.
Anche in questo complicato periodo storico, messo in ginocchio dalla pandemia, ci sono correnti di pensiero che ritengono che tutto questo sia il frutto di un gigantesco complotto dall’alto, atto a sottometterci a una grande dittatura sanitaria, privandoci della libertà di scelta.
Ormai il mondo è totalmente capovolto. Addirittura alcuni medici sono totalmente contrari alla somministrazione del vaccino anti-Covid: secondo gli ultimi sondaggi infatti, un medico su cinque rifiuta il vaccino ritenendolo ignoto e potenzialmente dannoso.
Una delle frasi che spesso sento dire dai negazionisti stessi, soprattutto nelle ultime manifestazioni sulla pubblica piazza, è che il Covid stia lacerando i tessuti sociali e che renda impossibile la convivialità.
Ma se questo problema fosse già radicato nella nostra società da molto prima? È davvero il COVID ad aver reso così difficoltosi i rapporti umani, o forse per comprendere questo degradamento dobbiamo fare qualche passo indietro?
Io personalmente mi sento in accordo con la tesi del filosofo Umberto Galimberti, recente ospite di Gramellini nel suo celebre programma sulla Rai; egli sostiene che questo famoso distanziamento non si debba chiamare “sociale” bensì “virale”. Questo perché, già dal primo avvento dell’informatica, i social media hanno contribuito alla diffusione di un individualismo ed un egoismo estremi. La verità è che le nuove generazioni non sono state distrutte dalla pandemia, essa ha solo aggravato una crisi preesistente nella quale i social sembrano essere l’unico spiraglio di libertà e accettazione per i giovani.