Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, il 22 febbraio scorso è stato ucciso ricevendo colpi di arma da fuoco da milizie armate non ancora identificate. Con lui hanno perso la vita il carabiniere Vittorio Iacovacci e un autista locale, Mustapha Milambo. L’attentato è avvenuto alle dieci del mattino, sulla strada tra Kanyamahoro e Goma, nel nord-est del paese, nella regione del nord Kivu, al confine con il Rwanda e il Burundi. L’ambasciatore e la sua scorta viaggiavano su vetture della WFP (World Food Programme) e, dalle ultime ricostruzioni, sembra che siano stati dei proiettili vaganti nati dallo scontro a fuoco avvenuto tra i rapitori e le FARDC (Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo) ad aver colpito il diplomatico e Iacovacci. Luca Attanasio, quarantatreenne, era rappresentante appunto di una nuova generazione di diplomatici, non più legata a dinamiche politiche, commerciali ed economiche, ma impegnata attivamente nella cooperazione internazionale umanitaria. L’ambasciatore infatti stava viaggiando verso il nord Kivu per consegnare pacchi alimentari in una zona rurale della regione. L’obiettivo degli assalitori era probabilmente quello di rapire l’ambasciatore.
Il Congo è una nazione che viene generalmente ignorata dai media occidentali, ma in realtà, soprattutto in questi decenni, si ritrova ad essere un’importante teatro globale sul piano economico e umanitario ed è al centro di molti interessi e speculazioni soprattutto dal punto di vista minerario.
Innanzitutto può essere utile chiarire che cosa sia il Congo, o meglio, la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Il Congo è un enorme paese nell’area centrafricana (circa 2.300.000 Km quadrati) avente come capitale la città di Kinshasa. Questa nazione ha ottenuto l’indipendenza dal Belgio, suo paese colonizzatore, nel 1960.
Il paese ha avuto una storia turbolenta, ricca di violenze e ingiustizie. Il piccolo Belgio, approfittando di una disputa tra Francia e Gran Bretagna, alla fine del 1800 aveva infatti conquistato questa enorme porzione di territorio, reso estremamente fertile dai numerosi corsi d’acqua ed enormemente ricco di materie prime.
Il colonialismo belga, dominato dalla figura del re Leopoldo II, fu sicuramente uno dei fenomeni storici più sanguinosi della storia africana: venne imposta la schiavitù dei nativi e mutilazioni di massa nel caso in cui la produzione di materie prime, come gomma o avorio, non avesse rispettato il quantitativo richiesto. Le vittime di quel periodo oscillano tra i 3 e i 10 milioni. Dopo l’indipendenza seguirono quasi trent’anni di guerre civili fra le diverse etnie del paese e fra le popolazioni confinanti del Rwanda e del Burundi e, come afferma l’ex vice ministro degli Esteri, Mario Giro, le cause primarie delle numerose e interminabili guerre non furono in realtà la ricchezza mineraria e il successivo sfruttamento delle materie prime, ma fu invece il problema identitario nelle popolazioni autoctone e la mancanza di stabilità legata alla cittadinanza congolese e ai diritti ad essa legati. Accanto alle gravi difficoltà nel processo di costruzione dell’identità nazionale così frequente nella fase post coloniale, le materie prime e il loro sfruttamento restano invece il “nerbo” economico della guerra, la causa della continuazione incessante delle ostilità.
Le milizie, in questo senso, sono il risultato di una “stratificazione” di quasi 30 anni di guerre civili. Le fazioni sono decine e trovano il proprio bacino di reclutamento in un’enorme massa di giovani nelle aree rurali del paese, spinti da una totale assenza di prospettive. Questi gruppi armati si finanziano grazie a rapimenti, come in questo caso, e grazie al contrabbando di materie prime. E qui veniamo all’ultimo punto, forse il cardine della vicenda: la come detto enorme ricchezza naturale congolese e il suo sfruttamento.
Il Congo possiede enormi giacimenti di uranio, rame, tungsteno ed è il primo produttore al mondo di columbo-tantalite, anche detta “Coltan”. Questa lega è un “superconduttore”, indispensabile per produrre le batterie dei nostri smartphone o i circuiti delle centraline elettroniche ormai presenti in tutte le apparecchiature. Inoltre è un territorio ricchissimo di idrocarburi, come petrolio e gas naturale. Queste materie prime vengono sfruttate da multinazionali, prevalentemente occidentali e cinesi, che si appoggiano ad una manodopera praticamente gratuita, composta perlopiù da bambini, che compongono oltre il 50% della popolazione congolese. Da questo punto di vista questi minerali, essenziali per le nostre tecnologie e per il nostro stile di vita, sono “insanguinati”. La situazione umanitaria è al collasso: dal ‘98 al 2010 sono morte oltre 5.000.000 di persone, il 50% di questi bambini. Le milizie provocano stragi e stupri di massa, i quali come conseguenze hanno dei veri e propri esodi: soltanto nel 2019 sono 360.000 gli sfollati che sono fuggiti a piedi dalle proprie case e che si sono riversati in strutture non preparate. Le condizioni di vita di queste persone sono spaventose e questa crisi umanitaria è, a tutti gli effetti, sottofinanziata (solo il 28% dei fondi previsti sono arrivati alle organizzazioni internazionali).
L’ultimo tragico evento, l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio, è stato anche un’occasione di riflessione riguardo al neo-colonialismo che la nostra società impone a questi popoli.
In questo senso, la storia dell’Africa, nel suo complesso, può essere vista come una storia di un saccheggio sistematico e violento da parte del mondo occidentale e dell’Europa. È una storia di povertà, di schiavitù, di fame, di morte. Possiamo affermare che l’Africa è il colore dominante della colpa dell’Europa. Ne abbiamo divorato il cuore, svuotato le mani e annientato ogni sogno, e adesso vogliamo tenerli fuori di casa e abbiamo paura che ci rubino il lavoro, le case popolari, i posti nelle scuole e anche la bellezza delle nostre piazze, “macchiate” dai loro volti affamati.
In questa luce, l’ambasciatore Attanasio, il carabiniere Iacovacci e l’autista Milambo sono le ultime vittime di un quadro complesso e di un sistema che ha ormai gettato profonde radici di instabilità, di violenza e di odio.
Sono conscio del fatto che discorsi di questo tipo spesso infastidiscano, specie quando il dolore è fresco e l’impressione del male inferto così recente. C’è sempre qualcosa di insopportabilmente arbitrario nella violenza e cercare di “spiegarla“ lascia sempre l’impressione, odiosa, che si cerchi di giustificarla. Ma non comprendere il clima in cui la violenza nasce e rifiutarsi di conoscerne i meccanismi scatenanti significa lasciarla nell’incomprensibile. E l’incomprensibile è destinato a non poter essere evitato e, ciò che è peggio, a non essere prevenuto.