Il rapporto che abbiamo con la nostra musica, e i generi che preferiamo, sono fattori che dicono tanto su di noi, più di quanto si pensi! Basti pensare alla sconfinata varietà di movimenti e ideologie che hanno portato alla creazione di generi e sottogeneri diversi nei temi, nelle caratteristiche stilistiche (perfino nel linguaggio) e anche nelle spesso impercettibili differenze contenute negli strumentali.

È perciò lecito chiedersi se un ascoltatore condivida o meno i valori trasmessi dal genere, dall’autore o più direttamente dal brano ascoltato. Ma che cosa porta una persona ad ascoltare un determinato genere musicale? Non lo so, non sono uno psicologo e nemmeno un musicologo, ma sono un ascoltatore a cui piace scavare nel brano, fino a interiorizzarne i valori che vogliono essere trasmessi. Perchè perdere tempo allora alla ricerca del nocciolo ideologico del brano? La reale perdita è non farlo!

La musica è un immenso genitore (uno e due) con un enorme potenziale pedagogico, che può essere o non essere ascoltato (nel senso vero di ascoltare), interpretato e che può darci spunti di riflessione importanti per la nostra formazione culturale (e anche umana più in generale). Certo, un ruolo ce l’ha anche l’ascoltatore: come in altri ambiti, ciò che ti viene offerto non porta a nulla se ne viene fatto un cattivo uso, o se proprio non vi è interesse da parte dell’uditore in questo caso.

È triste quanto evidente che negli ultimi anni, non solo in Italia (e particolarmente in certi generi), sia morto e sepolto l’ideale pedagogico e comunicativo della musica, come lo è d’altronde il concetto vero e proprio di interesse. L’interesse, inteso come concetto filosofico, è la ricerca, il desiderio di approfondire e immergersi in una realtà capace di stimolarci.

È quindi possibile parlare di interesse, se l’interesse per un qualcosa ci viene venduto? O se banalmente la cosa a cui ci “interessiamo” non contiene di fatto nulla? Io credo che ciò non sia possibile, perchè molto semplicemente non è possibile nè cercare nè trovare nel niente. Sembra quasi che al giorno d’oggi, e vorrei che i lettori non credessero che parlo in generale, l’interesse per il messaggio sia stato ampiamente messo in ombra dall’interesse per il  personaggio.

Nessuno di voi ha notato quanto siano imponenti questi personaggi? Quanto sia grande e sublimata la loro figura, rispetto alla loro idea e al loro messaggio? Conosco più persone che sanno l’outfit che aveva ieri Sfera Ebbasta, che suoi cultori, se di cultori possiamo parlare. Attenzione però: non intendo sminuire i suoi ascoltatori, anche lui ha avuto il suo percorso musicale e ha raggiunto i suoi obiettivi, perciò non mi sento di criticare lui come persona, per me è piuttosto l’idea di musicista che gli si associa, a farmi storcere il naso.

Il musicista portatore di valori (sani o meno, sempre valori sono) è più un De Andrè, un De Gregori, un Luigi Tenco, o un Guccini. Il mitico Faber si recava ai concerti con la sua classica camicia sbottonata, che vederla cambiare colore non era cosa da tutti i giorni, un modesto mocassino e una chitarra, che era solito accordare a orecchio prima della performance. L’impianto acustico era la cosa più tecnologica nel raggio di tutto il palco e della folla: Fabrizio non amava essere ripreso, accettava solamente qualora gli operatori fossero stati nascosti, che a prima letta sembra solo un dettaglio fra i tanti che componevano il suo intricato carattere, ma è invece una pretesa che dice molto, moltissimo sul suo concetto di performance.

La sua semplicità (che non si traduce affatto in umiltà in questo caso) oggi non lo porterebbe da nessuna parte. Nel mondo musicale odierno, portato avanti dall’apparenza e dal peso delle collane d’oro degli artisti, o dai loro costosissimi outfit, non avrebbe avuto alcuna risonanza mediatica, o molta poca. Sarebbe rimasto l’idolo degli ascoltatori di nicchia, che sono e saranno sempre alla ricerca di un qualcosa, senza badare a inutili fattori.

E perchè, ricollegandomi a prima, dico che viene “venduto interesse” agli ascoltatori? Sorge spontanea questa domanda. Nessuno paga per avere accesso al suo profilo Instagram, nessuno paga per ascoltare le canzoni dell’artista (escludendo le esibizioni live, e gli abbonamenti alle grandi piattaforme musicali, come Spotify e Apple music): nessuno paga per dargli le proprie attenzioni e quindi per provare interesse per lui.

Non è facile accorgersene, ma come in tanti altri casi legati al mondo dello spettacolo, dei social media e, purtroppo, anche della musica, quando ottieni una cosa gratis, vuol dire che la merce sei tu. Siamo noi la merce del mondo musicale, noi inteso come popolo ascoltatore. Le loro ricchezze e la loro fama dipendono solamente da noi, che però ne siamo attratti, perché la società è impostata ad imbuto: ci costringe ad omologarci sempre di più, a restringere i nostri orizzonti e a condurci tutti nel binario stabilito.

Per questi motivi è di vitale importanza cercare di non essere trascinati dalla spinta demagogica che la musica sta attuando, in questi periodi di forte perdita di consapevolezza e di smarrimento delle masse, sempre più sotto il mirino di chi le scruta dall’alto.

Un pensiero su “La musica senza strumenti”

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