Gli albori di una leggenda

In data 4 dicembre 2020 è ricorso un importante anniversario musicale: quarant’anni dallo scioglimento dei Led Zeppelin, sintesi perfetta di blues, folk, rock and roll e generi allora totalmente inediti che dominò la scena dello spettacolo internazionale per una decina d’anni, cambiando per sempre il modo di fare musica. La loro storia comincia alla fine degli anni ’60 come un salvataggio di fortuna per un tour in Scandinavia degli Yardbirds, gruppo in cui al tempo militava l’oggi celeberrimo Jimmy Page.

In seguito a vari impedimenti ed al ritiro di alcuni membri, il chitarrista ed il neoassunto bassista John Paul Jones si trovarono praticamente soli per fronteggiare una imminente tournée; solo grazie ai rapidissimi sforzi dei loro produttori per reperire una voce ed un basso di un certo livello giunse prima in studio e poi fra gli stadi del nord Europa una fase embrionale dei Led Zeppelin. Questa riscosse un enorme ed immediato successo, con la band destinata a vendere ben più di 300 milioni di dischi, questo anche ad attività conclusa.

I primi grandi successi

Una volta ufficializzata la presenza dei nuovi membri si decise poi di cambiare nome, mettendosi alla ricerca di qualcosa di ironico ed iconico al tempo stesso. Abbastanza rapidamente giunse un’illuminazione: Led Zeppelin. L’idea prese spunto da un modo di dire tipicamente britannico, to be a lead balloon (=essere un palloncino di piombo), ossia un fiasco totale, qualcosa che non avrebbe mai potuto volare alto: cosa ci sarebbe stato di più fallimentare di un palloncino di piombo se non un dirigibile Zeppelin del medesimo materiale?

Al contrario di ogni aspettativa il successo invece arrivò e fu immediato grazie al primo singolo del primo album (omonimo della band, pubblicato nel ’68) “Good times bad times”, seguito a ruota da “Whole lotta love” del 1969. I quattro inglesi, allora poco più che ventenni, si resero riconoscibili, anzi indimenticabili, grazie a due principali fattori: la voce strabiliante del Golden God  (per via del colore dei capelli), Robert Plant ed un inconfondibile sound conferito da Page, che fra impressionanti acrobazie con le scale ed esibizioni in live rasentanti la teatralità, fra cui suonare la propria chitarra con un arco da violino, si impose immediatamente come uno dei più virtuosi musicisti del suo tempo.

L’incoronazione internazionale e le tragedie

L’epoca d’oro ebbe luogo nella prima metà degli anni ’70 con brani del calibro di “Stairway to Heaven” e “Black Dog”, tour interminabili uno più fortunato del precedente e infiniti riconoscimenti, ma l’idillio si interruppe con la violenza d’un frontale il 4 agosto 1975, quando Plant, la sua famiglia e la figlia di Page ebbero un grave incidente d’auto. La moglie del cantante venne salvata per miracolo mentre lui, sebbene mai in pericolo di vita, fu costretto su una sedia a rotelle per sei mesi. Inutile dire che tutte le date della tournée mondiale programmata per le settimane successive in Nord e Sud America, Giappone e Australia vennero annullate, stroncando così il periodo di assoluto splendore che la band stava attraversando.

In questo modo ebbe inizio il declino psicologico dei membri del gruppo e del cantante in particolare, che si riflettè naturalmente sulle loro performance, andando ad aggravare la situazione di stress provocata dai produttori, i quali richiedevano album su album entro date sempre più ravvicinate.

Nel 1977 un’altra disgrazia toccò Robert Plant che perse il secondo figlio, di soli cinque anni, a causa di una malattia; di conseguenza, come spesso succede fra gli artisti che, oltre che colleghi, sono anche compagni di vita, prima le fonti di sconforto e poi le tensioni di un singolo si fecero strada fra i quattro, creando degli attriti professionali e personali. La quantità di tournée andò sfumando mentre lo stile della band, evolutosi nel tempo, tentò di riavvicinarsi alle proprie origini neo metal/progressive, ma venne definito decisamente superato.

In quel periodo infatti le mode portavano punk e disco in vetta alle classifiche, ritenendo che gli unici a potersi ancora permettere un album progressive fossero i Pink Floyd; proprio col loro chitarrista David Gilmour, insieme a Sir Paul McCartney e altri vari musicisti, John Bonham e John Paul Jones parteciparono alla creazione di un’orchestra rock ideata dallo stesso ex Beatle, che si rivelò l’ultimo grande evento in cui la band (nemmeno al completo) prese parte. Il 25 settembre 1980 il batterista John Bonham venne trovato morto nella camera da letto; si parlò di ingestione di quaranta dosi di vodka.

La fine del viaggio

A questo punto si potrebbe dedurre che lo scioglimento, il quale sarebbe avvenuto di lì a poco nell’80, sarebbe stata la decisione ultima per sventare qualche disastro che sarebbe poi risultato irrimediabile (i quattro avevano già avuto modo di rendersi noti per la propria vita dissoluta), invece il disastro ci fu e riunì in cordoglio tutti i fan.

Plant, Page e Jones dimostrarono un grande rispetto ed una grande umanità nei confronti del compagno defunto non volendo più continuare a produrre musica come un tempo, rendendo ufficiale la notizia dello scioglimento della band proprio il 4 dicembre dello stesso anno.

Ci furono poche reunion, dedite a presenziare ad importanti eventi come il Live Aid dell’85, ma, se oggi ascoltiamo la musica che conosciamo, dal pop al blues fino al glam rock ritornato alla ribalta, è sicuramente grazie al contributo che quattro giovani britannici conferirono al mondo dello spettacolo, portandolo all’apice del successo in un’epoca di assolute, euforiche novità.

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