Quando pensiamo ai poemi omerici di norma sentiamo più vicina a noi e alla nostra condizione umana l’Odissea: i temi trattati sono senz’altro più vari rispetto all’Iliade e di certo il viaggio di Odisseo verso la sua patria può darci molto, soprattutto grazie al protagonista stesso che ci viene raccontato come “πολύτροπον”, versatile, spesso (troppo, a mio avviso) contrapposto all’eroe dell’altro poema, Achille. Cimentandosi però nella lettura dell’Iliade, risulta chiaro che anche questa ha molto da offrire e che forse l’invincibile figlio di Peleo è un personaggio più profondo di come ci viene presentato.
Tuttavia il Pelide non è l’unica figura importante dell’Iliade che, a mio avviso, può essere riassunta attraverso l’analisi di tre personaggi i quali prenderò in esame in tre articoli dedicati a partire da questo, che tratterà appunto di Achille:
Ettore, Patroclo, e Achille stesso
Achille (Αχιλλεύς)
Figlio del re Peleo e della dea marina Teti, Achille è il guerriero più forte e veloce di tutto l’esercito acheo e la causa motrice delle vicende dell’Iliade. Per l’ira nei confronti del re Agamennone (o Atride), decide che non guiderà i Mirmidoni in guerra contro Troia, questo finchè non gli sarà dato l’onore che merita. La scelta di Achille di astenersi dalla guerra è, immedesimandosi un minimo nella mentalità dell’epoca, comprensibile: gli è stato sottratto un premio che si è conquistato combattendo con valore e questo gli porta vergogna (l’αἰδώς greca), per un nobile guerriero come lui assolutamente spregevole. Achille però, quando gli vengono offerti doni riparatori (compresa la stessa Briseide, ragazza sottrattagli da Agamennone e motivo della sua ira), rifiuta di perdonare l’Atride e persiste nella sua ira, mandando di fatto a morte centinaia di soldati achei, ormai oppressi dall’esercito troiano. Implorato dal giovane Patroclo, Achille decide infine di fare spazio al perdono e manda i Mirmidoni in guerra a ribaltare la situazione, facendo vestire a Patroclo le sue armi di modo che spaventi l’esercito troiano. Sarà la morte di Patroclo a spingere Achille a scendere in campo, pronto a vendicare il suo compagno caduto.
Ira e Pentimento
Achille è molto più di un guerriero forte e arrabbiato. Achille è un uomo che si è visto trattare in modo scorretto dalla persona per cui rischiava la vita in battaglia, battaglia da cui sapeva benissimo che non sarebbe mai tornato. La sua ira è pertanto giustificata e umanamente comprensibile, come comprensibile è il rancore che gli impedisce di perdonare Agamennone quando questi gli offre doni di ogni tipo, scelta che potremmo però considerare eticamente scorretta, essendosi Zeus adoperato proprio affinché l’Atride riconoscesse il suo errore e riparasse all’offesa procurata ad Achille, che sarebbe quindi dovuto tornare in guerra. Achille arriverà a pentirsi del suo rancore: sarà questo la causa della morte del compagno Patroclo, per Achille un evento peggiore della sua stessa morte. Quello che infatti spesso viene omesso quando si racconta della storia del figlio di Peleo, è la sua prima reazione alla notizia appunto della morte di Patroclo: prima di accogliere nuovamente un sentimento di rabbia, questa volta nei confronti di Ettore, il Pelide è colpito da puro e profondo sconforto, sentimento che lo porta a pronunciare queste parole:
“Potessi morire anche adesso, poiché non dovevo all’amico portar soccorso in morte; molto lontano dalla patria è morto; e io gli sono mancato, difensore dal male” (libro XVIII, trad. Rosa Calzecchi Onesti).
Achille è consapevole di essere il più forte tra gli uomini sia achei che troiani: tutti quanti lo temono e solo al vedere le sue armi fuggono la battaglia. Nonostante questo è però mancato al suo più fidato compagno nel momento del bisogno, mandandolo di fatto a morire per riparare ai danni creati dal suo sentimento rancoroso. L’unica cosa che può fare è vendicare Patroclo, facendo abbattere la sua “ira distruttrice” sui troiani e su Ettore, questo aspettando la morte già predetta.