Nella parte precedente di questa riflessione tripartita, il cui obbiettivo è prendere in esame tre figure centrali del poema dell’Iliade e capire quanto possano darci a livello umano, si è analizzata la psicologia di Achille, la sua umanità e profondità: a spingere però l’eroe dai piedi veloci a combattere è stato l’intervento (la morte) del suo amato compagno Patroclo, il personaggio di cui vi voglio parlare in questa seconda uscita del “Tridente dell’Iliade”.

La figura di Patroclo viene spesso appiattita affibbiandole la funzione di “causa scatenante” del massacro dei Troiani da parte di Achille, funzione che sicuramente ha ma che non è certo tutto ciò che rende Patroclo un personaggio interessante e in qualche modo “innovativo” all’interno del poema.

Cerchiamo quindi di capire qualcosa in più sul guerriero Mirmidone più gentile dell’esercito.

Patroclo di Jacques-Louis David

 

Morte di Patroclo da un vaso a figure nere

Patroclo (Πατροκλῆς/Πάτροκλος)

Patroclo è uno dei guerrieri mirmidoni guidati da Achille nella guerra di Troia e fedelissimo compagno dello stesso eroe figlio di Peleo. Figlio di Menezio, re di Opunte, Patroclo non sopporta di vedere l’esercito acheo massacrato da Ettore e i Troiani, motivo per cui prega Achille di cessare l’ira: a questo punto si decide che Patroclo vestirà le armi del Pelide per mettere in fuga l’esercito troiano, ma Zeus ha già in mente un destino di morte per il figlio di Menezio.

Dolcezza e Valore

Patroclo è uno dei personaggi più particolari dell’intero poema, dal momento che si distacca da quelli che sono i soliti valori degli eroi omerici (perlomeno nell’Iliade): forza fisica, bellezza, coraggio… non che queste tre qualità manchino al giovane, eccelle sicuramente in ognuna di esse, ma è un’altra la sua caratteristica principale, unica di questo personaggio: la dolcezza. Patroclo è descritto come “amico di tutti”, non c’era guerriero acheo che non lo amasse e particolarmente significative sono le parole che nei suoi riguardi vengono spese da Briseide, la schiava sottratta ad Achille da Agamennone all’inizio del poema, in occasione della sua morte:

“[…] Ma tu, tu non mi lasciavi, quando il mio sposo in rapido Achille m’uccise, distrusse la rocca di Mìnete divino, piangere, ma andavi dicendo che d’Achille divino m’avresti fatta sposa legittima, condotta a Ftia sopra le navi e fra i Mirmidoni avremmo celebrato le nozze; per questo ora senza misura piango te morto, te sempre dolce!” (libro XIX, trad. Rosa Calzecchi Onesti).

Ma Patroclo non è solo uno specialissimo esempio di eroe nel poema, è anche il personaggio più “patetico” (dal greco πάθος, “che suscita emozioni forti”) dell’Iliade, siccome ci offre alcune delle immagini più cariche di sentimento dell’intera opera, quali la sua morte e il pianto che suscita questa nel compagno Achille. Soffermandoci quindi sulla morte del giovane, è senz’altro molto significativa (e a mio avviso tra le più potenti del poema) l’immagine dei due cavalli di Achille, Xanto e Balìo, che piangono il caduto, evidentemente amato persino dagli animali:

“[…] Ma i cavalli d’Achille fuori della battaglia piangevano, da che avevano visto l’auriga caduto nella polvere sotto Ettore massacratore; eppure Automedonte, forte figliuolo di Dioreo, molto con rapida frusta toccandoli, li accarezzava, e molto diceva con dolci parole, molto con le minacce. Ma essi né indietro né indietro verso il largo Ellesponto e le navi volevano andare, né in guerra in mezzo agli Achei; come sta immota una stele, che presso la tomba d’un uomo defunto sia stata piantata o d’una donna, così restavano immobili, col carro bellissimo, in terra appoggiando le teste; e lacrime calde cadevano loro giù dalle palpebre, scorrevano in terra; piangevano, nel desiderio del loro auriga […]” (libro XVII, trad, Onesti).

Nonostante tutto il Meneziade rimane un guerriero valoroso e coraggioso, che non esita a vestire le armi del suo compagno e a fare strage tra i Troiani; altra scena ricca di “pathos” è infatti il suo ultimissimo discorso, rivolto ad Ettore che lo ha appena trafitto con la sua lancia, già ferito dal Dio Apollo e dal Troiano Euforbo:

“Sì, Ettore, adesso vantati: a te hanno dato vittoria Zeus Cronide e Apollo, che m’abbatterono facilmente: essi l’armi dalle spalle mi tolsero. Se anche venti guerrieri come te m’assalivano, tutti perivano qui, vinti dalla mia lancia; me uccise destino fatale e il figliuolo di Latona, e tra gli uomini Euforbo: tu m’uccidi per terzo. Altro ti voglio dire e tientelo in mente: davvero tu non andrai molto lontano, ma ecco ti s’appressa la morte e il destino invincibile: cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide perfetto.” (libro XVI, trad. Onesti).

Forse non ci si aspetterebbero parole tanto gagliarde in punto di morte, da un ragazzo così delicato e gentile.

Patroclo, a una realtà sanguinosa e crudele come quella della guerra e in un contesto sociale in cui i valori sono incarnati da uomini imponenti, belli, forti e coraggiosi, risponde a tono con dolcezza, gentilezza, empatia e senso del dovere, che lo rendono tra gli Achei stimato e amato tanto da vivo quanto da morto.

Cosa c’è di più umano del voler essere sé stessi senza sentirsi fuori posto?

Di Reuel Besaggi

18/12/2004 M :)

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