In questa terza e ultima riflessione, dopo quelle su Achille e Patroclo, voglio chiaramente andare a parlare della “punta del tridente” che rimane: Ettore, baluardo della rocca di Troia. D’altronde Ettore è un personaggio che più e più volte abbiamo nominato nell’analisi dei due precedenti eroi achei: questo è infatti l’anello mancante nello sviluppo delle vicende, dal momento che è proprio lui a uccidere Patroclo e suscitare l’ira di Achille, che sarà causa della sua morte davanti alle mura di Troia.

Proprio come Achille e Patroclo, anche Ettore, nell’immaginario comune (di chi quindi non ha avuto modo di leggere l’Iliade), risulta vittima di un forte pregiudizio per nulla fondato: Ettore sarebbe il “cattivo” mostruoso che fa strage dei poveri Achei e che va fermato dal magnifico Achille. D’altronde è altrettanto diffusa l’idea che nello scenario della guerra di Troia ci sia una fazione buona e giusta (quella achea) e una invece malvagia e nel torto, che sarebbe peraltro origine dello scontro (quella troiana). Inutile dire che, in guerra, non si può parlare di “buoni” e “cattivi”… E in realtà,  la lotta che fa da sfondo alle vicende dell’Iliade è invisa tanto agli Achei quanto ai Troiani: l’unico vero responsabile è Paride (anche se spinto dagli dèi), odiato infatti da tutti e due gli schieramenti.

Ma andiamo quindi a parlare del vero protagonista dell’ultima uscita del “tridente”, che cela ben altro sotto la facciata di flagello troiano sanguinario e senza pietà, un coraggio senza pari e non solo…

 

 

Ettore e Andromaca di Sergey Petrovich Postnikov, metà XIX secolo

 

 

Ettore (Ἕκτωρ)

Ettore è uno dei tanti figli di Priamo re di Troia, ma sicuramente il più valoroso. La figura di Ettore accompagna il lettore in tutta la narrazione dell’Iliade, entra infatti in scena molto presto e sarà l’incubo degli Achei fino a che Achille non lo ucciderà per vendicare il suo compagno. Ettore viene assistito da diversi dèi durante le battaglie, primo tra tutti Zeus, che lo sfrutta come strumento attraverso cui dare pene agli Achei come gli era stato chiesto dalla ninfa Teti; ma molto d’impatto è anche il momento in cui viene appoggiato da Ares e si scontra con Diomede, alleato invece di Atena. Una volta ucciso dal Pelide, il corpo di Ettore sarà restituito a Priamo dallo stesso, persuaso e commosso dalle parole del povero padre troiano che ne celebrerà poi i funerali, con i quali si conclude l’intero poema.

 

Amore e Forza

Affermare che Ettore tra tutti i personaggi dell’Iliade sia quello che maggiormente ci parla di amore può senza dubbio sembrare strano, soprattutto in virtù di quanto detto prima sul suo conto: è uno dei guerrieri più forti dell’intera vicenda, secondo solo ad Achille, ed è sicuramente tra quelli che possono vantare più vittime, nelle battaglie a cui ha preso parte. Nonostante questo, non è il gentile e dolce Patroclo ad essere simbolo di amore, è invece proprio il figlio di Priamo. Una delle immagini più emozionanti e famose del poema (ed Ettore ce ne offre più di una…) è sicuramente il suo saluto alla moglie Andromaca e al figlio Astianatte (o Scamandrio), prima di recarsi sul campo di battaglia. Andromaca lo prega di non andare in guerra, ma Ettore sa che cosa deve fare per proteggere la sua gente:

<<[…] “Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore: giorno verrà che Ilio sacra perisca, e Priamo, e la gente di Priamo buona lancia: ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri, non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo, e non per i fratelli […], quanto per te, che qualche acheo chitone di bronzo, trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti: […] grave destino sarà su di te. […] Morto, però, m’imprigioni la terra su me riversata, prima ch’io le tue grida, il tuo rapimento conosca!” E dicendo così, tese al figlio le braccia Ettore illustre: ma indietro il bambino, sul petto della balia bella cintura si piegò con un grido, atterrito dall’aspetto del padre, spaventato dal bronzo e dal cimiero chiomato, che vedeva ondeggiare terribile in cima all’elmo.>>  (libro VI, trad. Rosa Calzecchi Onesti).

Ettore è questo, un uomo che ama sua moglie e suo figlio e, pur sapendo che la sua fine è vicina, siccome già gli è stata predetta, non può non andare a combattere, a fare tutto quello che può per difendere le persone che ama. Anche se contro Achille sa di non avere speranze. Estremamente d’impatto è stata per me la scena finale in cui il figlio Astianatte si spaventa vedendo il padre che veste le armi: la figura terribile e spaventosa che il bambino vede è la stessa che vedono i suoi nemici, ma nessuno dei due sa che dietro a quel bronzo c’è un uomo pieno di amore, costretto a prendere quella forma mostruosa proprio per proteggere ciò a cui più tiene.

Oltre all’amore, Ettore è simbolo di immensa forza. E no, non si tratta solo di forza fisica, nella quale comunque eccelle: il figlio di Priamo è anche un uomo dall’incrollabile senso dell’onore, incredibile coraggio, grandi abilità strategiche, e persino un forte potere di persuasione, come dimostra il passaggio in cui convince suo fratello Paride ad affrontare a duello Menelao e porre fine alla guerra da lui causata:

“Paride maledetto, bellimbusto, donnaiuolo, seduttore, ah se non fossi mai nato, o morto senza nozze! Sì, vorrei proprio questo, questo sarebbe meglio, piuttosto ch’esser così, vergogna e obbrobrio degli altri… Ahi! Certo sghignazzano gli Achei dai lunghi capelli: credevan che fosse gagliardo il capo, perché bellezza è nell’aspetto, ma forza in cuore non c’è, non valore. […] E non affronterai Menelao caro ad Ares? Almeno saprai di che uomo hai la sposa fiorente! E non ti salveranno la cetra e i doni d’Afrodite, la chioma o la bellezza, quando rotolerai nella polvere. Ma sono molto paurosi i Troiani, o da tempo vestivi chitone di pietre per tutto il male che hai fatto!” (libro III, trad, Onesti).

Ma l’ultima dimostrazione di valore di Ettore è anche la più significativa: decide infatti di affrontare Achille fuori dalle porte di Troia per preservare l’onore e per il discorso fatto prima alla moglie, sapendo già che non potrà sconfiggerlo e pur avendo paura:

“Ohimè, se mi ritiro dentro la porta e il muro, Polidamante per primo mi coprirà d’infamia, lui che mi consigliava di ricondurre i Teucri in città quella notte funesta, quando si levò Achille glorioso; e io non volli ascoltare; pure era molto meglio. Ora che ho rovinato l’esercito col mio folle errore, ho vergogna dei Teucri e delle Troiane lunghi pepli […]. Ma se gettassi a terra lo scudo ombelicato e l’elmo greve e, l’asta contro il muro appoggiando, movessi per primo contro Achille perfetto, gli promettessi ch’Elena e le ricchezze con lei, tutte, quante Alessandro sulle concave navi condusse a Troia -e fu questa la causa di guerra- daremo agli Atridi, se le portino via! […] Ah! perché queste cose mi sta a discutere il cuore? […] Meglio scagliarsi di nuovo nella lotta al più presto: vediamo a chi dei due darà gloria l’Olimpio.” (libro XXII, trad, Onesti).

Ettore è così spaventato che pensa addirittura di abbandonare le armi e implorare Achille di accettare Elena e le ricchezze prese da Paride: ma alla fine capisce che la cosa migliore che può fare è lottare fino all’ultimo, fino a che Atena non lo ingannerà facendolo uccidere da Achille. Ettore è nell’Iliade l’apoteosi dell’Umanità. Il suo coraggio non sta solo nella temerarietà: sta nel fare quello che trova giusto e che può aiutare i suoi cari, anche se assalito da dubbi, preoccupazioni e paure che lo spingeranno a fuggire da Achille lungo le mura di Troia, reazione totalmente naturale che non ne svilisce il valore, anzi, rende il suo gesto ancora più gagliardo e non solo ingenuamente temerario. Nello scontro finale che lo vede sconfitto, Ettore sta ancora indossando le armi di Achille sottratte a Patroclo: immagine simbolica, che ci rende chiaro come il Troiano non sia inferiore all’Acheo; la sua nobiltà e il suo valore sono assolutamente degne di gareggiare col Pelide che però, purtroppo per Troia, sotto il bronzo dell’armatura è il più forte e il più veloce sui piedi.

L’eroe troiano non combatte per vendetta o per solo senso del dovere, combatte per amore, combatte perché deve proteggere la sua donna, suo figlio e la sua città. Non è un supereroe come Achille, non è un “rivoluzionario” come Patroclo: è un uomo che prova tutto ciò che un uomo può provare e che fino alla fine non ha intenzione di cedere, tanto per gli altri quanto per sé stesso, per il suo onore. L’ultima immagine che lascia a suo figlio è quella di un colosso mostruoso: ma i Troiani sanno che quel colosso è per tutti loro simbolo di salvezza e fermezza: i funerali dedicatigli non sono meno solenni di quelli dedicati a Patroclo, tanto era amato e rispettato alla rocca di Ilio.

 

Cosa c’è di più umano del voler lottare per ciò che si ama, anche se sappiamo di non potercela fare?

Ma dopo tutto questo percorso forse è meglio chiedere…

Cosa c’è di più umano dell’Iliade?

Di Reuel Besaggi

18/12/2004 M :)

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