“Memorie di Adriano”, pubblicato la prima volta nel 1951, costituisce il romanzo capolavoro della francese Marguerite Yourcenar (1903-1987), nata Marguerite Crayencour. L’opera vede l’imperatore romano Adriano raccontarsi senza riserve per mezzo di una lunga lettera: particolarità della narrazione è il non soffermarsi mai su un preciso episodio della vita, ma ripercorrere in ordine semi-cronologico le esperienze e le sensazioni del princeps, per poi eventualmente analizzarne i passaggi più significativi in un secondo momento.

La vicenda inizia dalla fine, con Adriano morente che stila un resoconto della propria vita al nipote adottivo Marco Aurelio: egli è ormai pacificamente giunto a patti con la propria fine imminente, nella sua senile pazienza ed acquisita saggezza, ma come tutti gli uomini di questa terra Adriano non è sempre stato così: ha conosciuto l’impazienza dell’azione, dell’amore, la bramosia di potere e la paura più nera, come narrerà nel romanzo; ha commesso errori ed ha a lungo ripudiato l’idea della morte, che lo ha privato della più amata delle creature; tuttavia, da questo tanto variegato amalgama delle avventure d’un imperatore emerge soprattutto una profonda meraviglia per la vita e, conseguentemente, anche per la morte, che della prima è solo una continuazione.

Il racconto si articola naturalmente su una grande quantità di eventi, dai quali il pensiero dell’imperatore si snoda verso riflessioni elaborate sull’esistenza, ma tenterò di stilare un elenco di alcuni episodi salienti che mi hanno particolarmente colpita.

 

Publio Elio Adriano: l'uomo e l'imperatore - Capitolivm

Il nonno Marullino e la previsione dell’imperium

Bisogna ricordare innanzitutto come nel secondo secolo d. C., ambientazione cronologica della vicenda, non vigesse più la successione imperiale secondo via dinastica, ma venisse praticata dall’imperatore l’adozione d’un successore che gli sembrasse adeguato. Adriano non è esente da questa tradizione: sarà avvicinato alla corte di Roma solo in età adulta, e pertanto passa l’infanzia nel piccolo comune ispanico di Italica, a stretto contatto soprattutto con il nonno Marullino.

La primissima informazione che abbiamo su costui è la sua fede nei moti degli astri, verso i quali riversa l’attenzione mistica che tanto affascinerà Adriano: in compagnia di questo strano vecchio egli infatti trascorrerà le prime notti gelate dell’altopiano di Spagna ad osservare le stelle, preludio d’una passione da cui a propria volta verrà travolto; è la voce cantilenante del nonno a destarlo, bambino, per dirgli che fra i pianeti ha scorto la promessa del potere imperiale di posarsi un giorno fra le sue mani; è sul cadavere di Marullino beccato dalle cornacchie che Adriano fronteggerà per la prima volta la durezza della morte.

Marullino è un personaggio assolutamente secondario, ma nel giro di poche pagine riesce a formare intimamente il carattere di Adriano -nonché a segnare il lettore-, grazie a quel distaccato carisma proprio delle figure che si temono e rispettano.

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L’eternità d’una notte siriaca

Chi dice morte esprime anche quel mondo misterioso al quale forse per suo mezzo si accede. Dopo tante riflessioni ed esperienze ignoro ancora quello che accade dietro quella buia cortina. Ma quella notte rappresenta la mia parte consapevole d’immortalità.

Come anticipato in precedenza, il rapporto di Ariano con il celeste ed il mistico sarà sempre molto stretto. Questo episodio è sostanzialmente decontestualizzato: non è esattamente chiaro né perché né quando l’imperatore si sia trovato nella provincia di Siria e abbia offerto il sacrificio di un’intera notte alle costellazioni. Certo è però l’effetto ammaliante che l’esperienza ha portato, un misto di rivelazione tecnica e filosofica: nessun manuale di astronomia avrebbe fornito una così precisa definizione del corso delle orbite astrali, né la mera immaginazione avrebbe rivisto nel pianto delle Pleiadi, immerse in un mondo di fiamma e cristallo, lo specchio dell’atroce e fragile solennità della sensibilità umana. 

 

Antinoo - Wikiwand

 

Saeculum Aureum: il fanciullo fatto dio

Parlando di Adriano è oggi inevitabile non alludere in qualche modo anche ad Antinoo, il giovane fanciullo di Bitinia che col suo volto d’eterna bellezza ha incantato tanto l’epoca dei Cesari quanto il Neoclassicismo del Settecento. A lungo, nel periodo medievale e rinascimentale, il nome del giovane amato dall’imperatore è stato taciuto, ma una volta riscoperto si comprese quanto i due personaggi fossero indissolubilmente legati l’uno all’altro: il romanzo della Youcenar è intriso dalla prima all’ultima parola della presenza quasi magica di Antinoo, nonostante costui sia fisicamente coinvolto in un solo sesto del libro.

Ripercorrendone la storia, Antinoo avrebbe attirato l’attenzione di Adriano in giovanissima età ed immediatamente sarebbe stato accolto nella sua corte per divenirne il favorito. Insieme avrebbero condiviso in viaggi ed avventure uno dei momenti d’oro della specie umana, ed avrebbero sviluppato una vera e propria venerazione reciproca. Si verificò tuttavia una disgrazia: Antinoo morì inaspettatamente, a diciannove anni, annegando nel Nilo. L’evento rimase sempre un mistero: alcuni parlarono di incidente, altri addirittura di sacrificio umano. L’autrice si lega a questa teoria, immaginando come il ragazzo abbia tentato di donare i propri anni di età per allungare la vita del suo imperatore.

Parlare di questa figura risulta molto complicato: egli aleggia in ogni singolo istante, è la base di qualunque aneddoto, l’essenza della felicità perduta d’un uomo. La sua esuberanza e curiosità fanno sì che egli sia oggetto delle riflessioni sulla vita; il suo drammatico suicidio lo rende simbolo solenne dell’Ade; la sua divinizzazione ne trasforma il volto affascinante e severo in quello del tragico Dioniso; il suo perenne ricordo influenza costantemente lo spirito di Adriano. La pratica della caccia non è ormai più cara all’imperatore da quando il suo più fedele compagno lo ha lasciato solo ad uccidere i leoni di Mauretania; il tono sui nuovi culti orientali sarà irrigidito dall’istante in cui il viso ridente del giovane che gli si presentò intriso di sangue bovino, dopo aver ricevuto la macabra aspersione che lo introducesse ai riti di Mitra, è cancellato per sempre.

Tuttavia, in qualunque epoca della Storia l’uomo deve fare pace coi fatti ed Adriano, invecchiando, imparerà a riflettere senza dolore su quella sorta di creatura divina: diverso da tutti nella morte come in vita, il cadavere inumato di Antinoo resterà abbandonato in un crepaccio anziché in una sontuosa tomba egizia, perché non rimanga eternamente intrappolato in quelle cose umane che in fondo mai gli erano appartenute. L’ultima conclusione tratta da Adriano prima di terminare la lettera, e dunque di morire, è che la scomparsa di quel giovane Giacinto, che per così poco tempo aveva addolcito la vita del dio-imperatore amate delle arti come Apollo, ne abbia arricchito la morte donandovi saggezza, non la vita conferendovi anni di più.

Natura deficit, fortuna mutatur, deus omnia cernit, “La natura ci tradisce, la fortuna muta, un dio dall’alto guarda ogni cosa”: è questa la frase che meglio riassume la vita del princeps come la nostra, perché sempre ci sentiremo traditi, ad un certo punto; sempre la felicità ci verrà strappata improvvisamente, e ci infurieremo verso qualcuno che, lo sappiamo con tutta la certezza dell’irrazionalità, sta a guardare, impassibile. Sempre, parallelamente, scopriremo prima o poi la presenza d’un equilibrio nascosto fra i piani del tempo, un’armonia che solo l’esperienza e la saggezza possono svelare, e che la voce umana non può narrare a nessun altro.

 

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