Redattori: Elisa Pisano e Reuel Besaggi

Neon Genesis Evangelion (1995) è una delle serie animate (e non) più influenti uscite dal Giappone, arrivata a suo tempo anche nel mondo occidentale, Italia compresa. Ma che cos’ha di tanto particolare e importante da averle permesso di diventare un cult in tutto il mondo e uno dei più grandi classici anime? In che modo il suo autore, Hideaki Anno, ci ha voluto raccontare qualcosa di veramente importante sul modo di affrontare la vita? Cosa possiamo noi imparare da quest’opera così complessa e al contempo umana?

Tutte domande a cui ci prefiggiamo di rispondere, analizzando quindi nel modo più esauriente possibile, le ispirazioni e la filosofia dietro Evangelion.

Il vangelo di un nuovo inizio

Il titolo stesso, per quanto ai più possa sembrare solo una formula inutilmente astrusa ed esagerata per dare importanza e mistero all’opera, racchiude invece un importantissimo ed effettivamente coerentissimo messaggio riguardo la storia che denota. La lingua utilizzata è il greco: “Neon genesis evangelion” (Νέον γένεσις ευαγγέλιον) può essere tradotto con “Vangelo di un nuovo inizio” o anche “Vangelo della nuova creazione“, in ogni caso espressioni rimandanti a due temi biblici: la Creazione (Genesi appunto, il primo libro della Bibbia) e il Vangelo di questa, ovvero la sua annunciazione.

I riferimenti biblici non sono però solo all’inizio: l’intera trama gira infatti intorno ad Angeli, (a cui sono affidati veri nomi angelici, ad eccezione dei due Angeli principali per la trama, ovvero Adam e Lilith) e Evangelion, inizialmente presentati come gargantueschi (attenzione, hanno un appetito formidabile? o sono solo giganteschi?) robot, controllabili dall’interno, creati proprio al fine di difendere l’umanità dall’improvviso e apparentemente casuale arrivo degli Angeli ad attaccare il genere umano. Da questa solida base i riferimenti non fanno che aumentare, tanto che sarebbe inutilmente prolisso tentare di elencarli tutti; ma è perlomeno curioso notare, almeno per noi italiani, come siano state addirittura inseriti nomi danteschi, come “Malebolge” o “Cocitus”.

L’angelo Lilith crocifisso e trafitto dalla “lancia di Longinus”, riprendente la storia biblica.

Un’onnipresente riflessione sull’amore

Particolarmente rilevante è la riflessione sull’amore, affrontato su tre diversi piani.

Shinji sta muovendo i suoi primi grandi passi nel mondo, a partire dalla scoperta del contatto fisico con Asuka, che rappresenterà, anche in risposta ad un trauma, l’aspetto sessuale delle relazioni. Lei stessa, infatti, sarà il suo primo bacio, impacciato ed inaspettato, sorpreso dalla sua improvvisa presa di posizione .

Dall’altra parte il lato romantico dell’amore è impersonato da Kaworu (un angelo sotto mentite spoglie umane), eliminato dallo stesso Shinji, diviso da un conflitto interiore, conquistato ed immerso nel gioco di sguardi e complicità fra di loro creato. Un amore rivoluzionario, soprattutto per il Giappone, che anticipa le lotte della comunità LGBT dei nostri tempi, soprattutto per una giusta rappresentazione mediatica.

Lo struggente momento che precede l’eliminazione di Kaworu da parte di Shinji, pilota dell’Evangelion.

Tuttavia, il rapporto d’amore che lo segnerà maggiormente è quello con Rei: un sentimento paterno, di desiderio di protezione verso una persona che percepisce come fragile. La stessa Rei porta in sé l’eredità della madre defunta di Shinji. Il suo tutore è il padre del ragazzo, assente nei confronti del figlio; quest’ultimo si fa quindi portatore delle due figure genitoriali mancanti, creando un intreccio ambiguo e contraddittorio fra le vite di Shinji e Rei.

Rei dona a Shinji un suo sorriso, che prima di allora aveva riservato solamente a suo padre.

Shinji Ikari e il dilemma del porcospino

Nonostante le figure che hanno molto da dare allo spettatore siano numerose, l’intera narrazione è costruita intorno a un personaggio specifico, Shinji Ikari, la cui introspezione assume un ruolo centrale nell’opera. Shinji sarà il nostro punto di riferimento, in quanto simbolo dell’uomo (nel senso più generico del termine) e di tutti i suoi dubbi, in particolare ciò che nella serie stessa viene già al quarto episodio presentato come Dilemma del porcospino, concetto ideato dal celeberrimo filosofo tedesco Arthur Schopenhauer.

 

Una delle immagini più celebri della serie, che ritrae il protagonista Shinji in preda alla più pura disperazione

Il dilemma di Shinji riguarda la sua individualità: come un porcospino, si chiude in se stesso per paura di essere ferito dagli altri, rendendo quindi i rapporti interpersonali ancora più difficili.

Inconsciamente, Shinji desidera un mondo in cui non c’è individualità, in cui non bisogna preoccuparsi di essere il proprio Io e di interagire con gli Altri, che ha scoperto portargli tanto dolore.

Sarà infatti proprio questo “viaggio” intellettuale/spirituale di Shinji il fulcro dell’opera: alla fine, pur essendogli offerta la possibilità di creare un mondo in cui non esiste più individualità e quindi nemmeno più dolore, Shinji capirà la bellezza del vivere, dell’essere qualcuno e di interagire con qualcun altro, in una delle scene più impattanti che noi abbiamo mai visto.  Ecco Shinji Ikari che in un fantastico momento di riflessione interiore, comprende di potere e di volere esistere, aiutato anche dal ricordo delle persone che ha conosciuto.

La ricerca della propria identità

L’identità, come già abbiamo visto, è un tema ricorrente, se non quello centrale: i personaggi sono fortemente individualizzati e mutevoli e la maggior parte della narrazione è dedicata alla loro introspezione.

Shinji Ikari che immagina un mondo dove non esiste individualità, dove Tutti sono Uno

Oltre al protagonista, uno dei personaggi più interessanti sotto questo punto di vista è Rei Ayanami che, alla fine dell’opera, si rivelerà un mezzo per preservare l’anima della madre di Shinji, solo un involucro di cui esistono diverse copie. Lei stessa però svilupperà una sua mentalità autonoma, domandandosi realmente quale sia la sua identità. In questa scena possiamo vedere uno dei monologhi migliori della serie, che vede come narratrice la stessa Rei.

Hai paura di perdere la tua identità se le altre persone ti abbandonano?

-Rei Ayanami

L’identità dell’intera umanità, di fronte al collasso, viene messa in dubbio e ci porta a riflettere su chi e cosa siamo veramente, prima di porci un’altra domanda: siamo in grado di sostenere questa nostra individualità? Siamo abbastanza forti da abbracciarla, nonostante questo significhi farci del male, scontrarci con l’Io nostro e altrui?

Oppure, come ha fatto in un primo momento Shinji Ikari, ci chiuderemo nei nostri aculei, incapaci di fare i conti con l’esistenza? 

 

 

 

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