La felicità è una delle sensazioni più belle che l’essere umano possa mai provare. Ma, come tutte le cose belle, è molto preziosa ed è questo che la rende ancora più speciale, infatti non si può essere felici con tutti. La felicità ha sempre toccato gli esseri umani fin dall’antichità e nell’articolo analizzeremo alcuni punti di vista del passato e contemporanei proprio su questo tema. Partiamo, prima di tutto, con l’osservare il termine “felicità” che proviene del verbo φυω (generare) o dal latino “felix” che significa felice, ma soprattutto “fecondo”. Come se si volesse intendere che, quando la felicità giunge, nasce in noi la possibilità di essere migliori e di generare amore e affetto per le persone che abbiamo attorno.

La felicità nell’antica Grecia:

Già nell’antica Grecia si era discusso riguardo alla felicità, in particolare Aristotele individua tre livelli gerarchici di felicità: il primo è quello a cui tutti i cittadini possono aspirare (il termine usato è “ευδαιμονια”, che significa “buon demone”), il secondo è quello delle “virtù etiche”, che stanno nel giusto mezzo e raggiungono un punto di equilibrio (per esempio il coraggio) e infine le “virtù dianoetiche” (filosofia e sapienza), che appartengono appunto solo ai saggi, gli unici che saranno realmente felici. Epicuro ritiene che la felicità sia le scopo della vita umana e che si possa ottenere solo con la filosofia. I piaceri da ricercare sono solo quelli che lui identifica con i “piaceri naturali necessari” o catastematici (stabili), che escludono ogni esagerazione e instabilità. L’assenza del dolore è per gli Epicurei fonte di piacere, in particolare bisogna raggiungere l’imperturbabilità dell’anima o meglio l’assenza di dolore morale (ἀταραξία) e l’assenza di dolore fisico (ἀπονία). Per Epicuro è essenziale l’amicizia, forse più dell’amore, per essere realmente felici.

Aristotele - Wikipedia
Aristotele
Epicuro e la Natura -
Epicuro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Carpe Diem”: 
Personalmente per definire la felicità userei la citazione di Orazio “Carpe Diem” ovvero “Cogli l’attimo”, perché la felicità è nei piccoli gesti, nelle parole di un amico, in un paesaggio o nello sguardo delle persone a cui vogliamo bene. Non si può essere pienamente felici, a mio parere, perché è troppo complesso raggiungere uno stato mentale di pura e piena felicità: ci sarà sempre qualcosa o qualcuno che ti farà essere un po’ meno felice. Ed è proprio per questo motivo che bisogna cogliere ogni secondo felice della nostra esistenza e conservarlo per quando saremo tristi. Ritengo che, per essere felici, si debba lottare e avere coraggio: solo chi difende i propri diritti e lotta con amore potrà raggiungere la felicità, anche se per poco.

Orazio. Il poeta del Carpe diem - MediterraneoAntico
Orazio

Il parere di Seneca:

Tra i poeti latini abbiamo Seneca, che ci parla di quanto il percorso per ottenere la felicità sia complesso e da praticare in solitaria esercitando la virtù; inoltre per lo scrittore la vera felicità si raggiunge quando non abbiamo bisogno di oggetti materiali, infatti siamo attirati dai beni e pensiamo di essere felici solo quando li otteniamo. Vi sono moltissimi interrogativi che l’autore si pone: si chiede se può esistere la vera felicità e cosa bisogna fare per raggiungerla. In particolare riflette su questo tema nella “Vita felice” e spiega che bisogna vivere secondo Natura seguendo i principi stoici e tale condizione consiste nell’avere spirito libero e sereno, lontano dal timore, affidandosi alla ragione e restando indifferente davanti alla sorte. La virtù “tira le orecchie ai piaceri e li valuta prima di accoglierli; non fa gran conto di quelli che accetta; comunque, ne fa un uso cauto e si rallegra non nel gustarli, ma nel moderarli”.

Lucio Anneo Seneca - Wikipedia
Lucio Anneo Seneca

Il parere di Leopardi:

Leopardi ritiene che la felicità sia un’illusione, ma bisogna ben chiarire che, nonostante Leopardi sia solitamente definito nei manuali “pessimista”, in realtà non lo è. Leopardi osserva la realtà per quella che è e sottolinea le condizioni  comuni a tutti gli uomini. L’uomo cerca per sua natura la felicità, che consiste semplicemente nel raggiungimento del piacere, ma in  realtà l’uomo non sarà mai soddisfatto, neppure quando avrà raggiunto il piacere tanto desiderato. Proprio nella ricerca, infatti, sta il vero piacere. In pratica dice che l’uomo, per sua natura, è destinato a essere infelice, ma la natura ci ha donato la fantasia e  l’immaginazione, con le quali possiamo costruirci l’illusione della felicità. L’autore identifica la vera felicità come “Quiete dopo la tempesta” quindi come cessazione di un dolore preesistente, o come attesa e ricerca di un piacere futuro.

Giacomo Leopardi

La felicità nell’Illuminismo:

La felicità è un diritto fondamentale: questo modo d’intenderla inizia a essere sempre più comune a partire dall’Illuminismo, ma bisogna notare che nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America redatta da Thomas Jefferson (1743-1826) e approvata dal Congresso di Filadelfia il 4 luglio 1776, ” si qualifica il perseguimento della felicità come diritto inalienabile”. La felicità viene intesa nell’Illuminismo come quella situazione di pace in cui gli uomini soddisfano i propri bisogni; si ritiene poi che la guerra sia un male di cui gli uomini devono liberarsi e che la pace sia la meta finale. Diventa pertanto “pubblica felicità” per la sua portata riformatrice, sia perché si pone come modello ideale sia come motivo di cambiamento. Concludo dicendo che alla fine tutti gli esseri umani vogliono essere felici, ma non sempre si può raggiungere facilmente ed è per questo che bisogna avere tanto coraggio e lottare per raggiungerla.

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