Sono una giovane studentessa di diciassette anni che riflette sul suo futuro destreggiandosi tra battute misogine, infiniti tabù, ridicole imposizioni sociali e costanti ostacoli dettati unicamente dalla colpa di essere donna.

Avrete letto e riletto di affermazioni simili, magari credete che non vi riguardino in prima persona perché siete uomini e dalle epoche più arcaiche siete stati facilitati in ogni singolo settore, ma non mi interessa: intendo ribadirle non solo perché rappresentano la crudele realtà patriarcale, ma anche per rammentarvi che, se rimanete neutrali in situazioni di ingiustizia, avete scelto la parte dell’oppressore.

Ogni giorno le donne sono le vittime di un sistema che le colpevolizza, distrugge, mette in situazioni di svantaggio e sminuisce: posti di lavoro brillanti ma con stipendi spesso inferiori a quelli dei colleghi, regolamenti scolastici che vietano di indossare minigonne ma che non insegnano ai ragazzi cosa sia il rispetto, catcalling non ci vuole la maiuscola, ma il carattere corsivo mentre torniamo a casa con la paura che i fischi possano trasformarsi in qualcosa di ancora più pericoloso e umiliante.

Probabilmente vi sentite distanti da ciò, pensate che una cosa simile non sareste mai capaci di farla o anche solo pensarla, ma non scordatevi che spesso le più frequenti denigrazioni che le donne subiscono risiedono nelle piccole parole, il cosiddetto micro-maschilismo. Forme di violenza a volte così apparentemente sottili da passare inosservate, ma che riflettono le costanti e onnipresenti disuguaglianze di genere.

Le avrete sentite un miliardo di volte: “Non credi che dovresti essere più femminile?”, “Non ti sembra di passare per una facile vestita così?”, “Lascia perdere, ti faccio vedere io come si fa”; ma ciò che più mi preoccupa è il riflesso di una società che le ha talmente normalizzate nel quotidiano, da renderne invisibile ad alcuni il significato celato.

Condotte mascherate con la “cordialità”, ma che conservano solo il desiderio di controllo e di attentare all’indipendenza personale di noi donne. Tra queste alcune vengono addirittura inserite in un ridicolo manuale immaginario di presunta galanteria. Un uomo che paga il conto di una cena ad esempio: non c’è nulla di male in questo… o forse sì?

Mesi fa abbiamo celebrato la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, precisamente il 25 novembre, e i dati più che mai terrorizzano: secondo l’Eures infatti, solo in Italia, si contano 81 femminicidi. Se poi sommiamo anche gli omicidi di donne legati alla criminalità comune o a contesti di vicinato, le vittime salgono a 91, ancora una ogni tre giorni.

Come possiamo sperare che le cose cambino se viviamo in un mondo che non dà nemmeno la sicurezza di poter denunciare senza ulteriori ripercussioni? Come possiamo migliorare ciò se dopo l’ennesimo caso di stupro, avvenuto la sera del 10 ottobre scorso per mano di un essere che di umano conserva poco, ciò che leggiamo sono i titoli di Vittorio Feltri, per citarne uno tra i tanti, che giustifica Genovese con pretesti assurdi?

Caro Vittorio, la colpa non è della cocaina, né delle ragazze: lo stupro è sola colpa dei violentatori. Tuttavia, vorrei comunque donare alle lettrici un segnale di speranza. Questo perché la mia amica Rebecca qualche settimana fa mi ha raccontato qualcosa che accende in me un piccolo ma importante barlume di ottimismo e progresso, di cui ora più mai abbiamo necessità.

L’Argentina infatti ha legalizzato l’aborto. Il presidente, Alberto Fernandez, lo scorso 17 novembre, ha presentato un progetto di legge al Congresso sull’interruzione volontaria della gravidanza nella prima fase del concepimento e che permette alle donne di accedere al sistema sanitario nel caso prendano la decisione di abortire.

La proposta di legge, dopo essere stata approvata dalla Camera, è stata approvata anche dal Senato con 38 voti a favore e 29 voti contrari: l’Argentina è il primo stato del Sud America a legalizzare l’aborto.

Precedentemente molte donne, soprattutto quelle in situazioni più disagiate, erano costrette ad abortire in condizioni totalmente clandestine, mettendo a rischio la propria salute e molte volte anche la propria vita, rischiando poi una condanna al carcere.

L’aborto non era illegale solo in alcuni casi specifici; la gravidanza, infatti, si poteva interrompere volontariamente solo nel caso in cui fosse dovuta ad uno stupro o nel caso in cui mettesse in pericolo la vita della donna. Nonostante ciò, la legge molte volte veniva ostacolata o non rispettata.

Fernandez però non si è fermato solo alla legalizzazione dell’aborto. Il presidente infatti ha proposto anche una legge che garantisca l’assistenza delle donne incinte e per la tutela dei figli nei primi 1000 giorni di vita. Questo in modo da proteggere le donne che desiderano portare avanti la gravidanza pur in situazioni di disagio economico e sociale.

Il dibattito riguardo la legalizzazione è aperto da qualche anno e già allora le persone a favore di questa legge avevano iniziato ad indossare un fazzoletto verde appeso ad uno zaino o legato al polso, rendendolo un simbolo condiviso, all’epoca, soltanto da pochi. Attualmente sono decine di migliaia le persone che partecipano alle manifestazioni riempiendo le piazze delle città con un fazzoletto verde per manifestare la volontà e il bisogno dell’approvazione di questa legge.

Permettere alle donne di scegliere di portare avanti o meno la propria gravidanza è importantissimo. Non lasciare invece la possibilità di decidere cosa fare con il proprio corpo è una violazione dei diritti delle donne dettata da una cultura maschilista, purtroppo ancora radicata nella nostra società, che reclama un’azione di controllo sul corpo femminile.

  • a cura di Sofia Ciccardi, Rebecca Mazzon

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