In una società ancora radicata negli squilibri patriarcali, qual è il punto di vista di noi donne? Ho deciso di chiederlo alla mia professoressa di filosofia.
Durante la crescita la mia mente è sempre stata invasa da mille domande, mille incertezze; fin da piccola mi arrovellavo in labirinti interminabili di “perché” e quando non riuscivo a risolvere i miei dubbi perdevo la testa.
Spesso mi chiedevo anche quali potessero essere le convinzioni degli adulti che mi circondavano in merito a quegli infiniti quesiti.
Entrando in fase adolescenziale e maturando una maggiore capacità di giudizio, ho imparato che talvolta ci si presentano  domande senza concrete risposte, e che non per questo avrei dovuto smettere di porle a me stessa o a uno dei tanti adulti di cui parlavo prima.
In questo caso ho deciso interpellare la mia docente di storia e filosofia, la professoressa Manuela Gavazzi, e la scelta non è certo casuale.
Introducendo lo studio della filosofia quest’anno, ci ha fin da subito chiarito un concetto fondamentale: tale scienza si basa su domande che fin dai periodi più arcaici tormentano il genere umano; essa inoltre non nasce con l’idea di assicurare certezze, ma solo proprie convinzioni razionali.
Proprio per questo ho voluto riportare il suo punto di vista in merito a uno dei temi che più di tutti mi tormentano, convinta che sia essenziale per noi  ragazze ricevere il punto di vista di donne che, avendo maturato esperienze di vita più complete e varie, possano raccontarci di sé stesse e delle sfide che hanno dovuto superare.

 

1) In quanto donna, durante il percorso formativo e i primi anni di insegnamento ha mai riscontrato atteggiamenti sessisti da parte di colleghi, professori o suoi superiori?  
Per mia fortuna sia durante il mio percorso formativo che durante i primi anni di insegnamento non ho riscontrato mai atteggiamenti sessisti o almeno non li ho percepiti. Questo non significa che non abbia anch’io subito, talvolta, forme di discriminazione dovute soprattutto alla mia giovane età: in quanto supplente sotto i trent’anni alcuni colleghi più anziani non hanno ritenuto di dovermi considerare alla pari con loro. Ne ho sofferto molto, mi sono sentita svilita e non ho visto riconosciuto il mio lavoro. Ritengo che sia anche questa una sorta di discriminazione di genere. Invece il pregiudizio sul mio lavoro in quanto donna l’ho riscontrato molto di più fuori dall’ambiente scolastico: non conto neppure le volte che, dicendo che ero insegnante, mi sono sentita dire: “Ovviamente sei una maestra. Asilo o elementari?”. La maggior parte delle persone con cui mi rapportavo non prendeva neppure in considerazione che potessi lavorare in un Liceo: anche questo pregiudizio mi ha fatto molto soffrire.
2) Cosa pensa del codice di abbigliamento femminile imposto dal regolamento scolastico? Ritiene che sia utile, o che piuttosto contribuisca nuovamente a un divario tra generi?
 Leggendo il regolamento scolastico in realtà non c’è distinzione tra l’abbigliamento femminile e quello maschile, ma si sottolinea in generale la necessità di adottare un abbigliamento decoroso, adatto all’ambiente scolastico. Su questo sono assolutamente d’accordo, la scuola è un luogo dove ciascuno di noi deve dimostrare impegno, serietà, senso civico, rispetto verso gli altri: tutto questo passa anche attraverso il modo in cui ci mostriamo e credo valga sia per gli studenti che per i professori. Se, invece, ci si riferisce ad episodi specifici come quello accaduto in un Liceo romano ad inizio anno scolastico, quando molte studentesse hanno protestato contro il divieto di indossare gonne corte motivato con la volontà di non provocare gli insegnanti uomini allora ritengo che sia davvero discriminante nei confronti delle donne: il nostro abbigliamento non ci qualifica moralmente a prescindere in quanto donne, nè giustifica alcun atteggiamento nei nostri confronti. 
3) Qual è la sua “donna leader” di riferimento e da cui prende ispirazione? 
 Non c’è una donna in particolare che io prenda come punto di riferimento. In generale ammiro le donne forti, anticonformiste, che hanno il coraggio di difendere le proprie posizioni, che non hanno paura della diversità. Ultimamente mi è piaciuto tantissimo il discorso della nuova vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, l’ho fatto ascoltare con attenzione alle mie figlie e anche in una mia classe: lei è un modello di donna che ogni ragazza dovrebbe seguire. Nella storia tante altre donne mi hanno ispirata: Frida Kalo è una delle donne che ammiro di più, la sua storia è tragica, intensa, piena di coraggio. Ma anche Margherita Hack, grande scienziata, caparbia, indipendente oppure Rita Levi Montalcini, o ancora Eva Duarte Peron, che ha combattuto per i poveri e per l’uguaglianza dei diritti tra donne e uomini in Argentina svolgendo un ruolo politico di primo piano,  o Simone de Beauvoir. Se, però, devo scegliere la mia fonte di ispirazione più grande è mia madre: non ho conosciuto nessuno più coraggioso di lei.
4) Ad oggi secondo lei, nel mondo del lavoro, quali sono i più grandi ostacoli a cui una donna deve far fronte?
Purtroppo oggi ci sono ancora tantissimi pregiudizi che riguardano le donne nel mondo del lavoro e nonostante si discuta tanto di quote rosa e di pari opportunità siamo ancora davvero molto lontani da un’effettiva parità. In particolare credo che l’ostacolo più grande sia ancora la convinzione che una donna non possa contemporaneamente avere successo nel lavoro e crearsi una famiglia: sembra che una donna per inseguire la propria carriera debba necessariamente restare sola, rinunciare ad avere un nucleo familiare a cui dedicarsi, come se l’essere compagna e madre togliesse necessariamente qualcosa all’impegno lavorativo. Il problema sta anche nel fatto che questo punto di vista è sostenuto anche da molte donne: credo sia per questo che è così difficile eliminarlo.
5) Ritiene che nel ventunesimo secolo sia ancora diffusa la concezione di mestieri unicamente maschili o unicamente femminili? E se sì, quello del professore ne ha fatto storicamente parte o lo è tuttora?
Sicuramente oggi la differenza tra mestieri maschili e femminili è meno marcata, ma credo esista ancora. Lo si vede anche nelle iscrizioni ad alcune Facoltà universitarie dove la componente maschile è ancora prevalente (penso a facoltà scientifiche come informatica) o viceversa prevale la presenza femminile (per esempio Lettere), anche se il trend si sta lentamente invertendo. Il mestiere dell’insegnante ha avuto una sua evoluzione storica precisa: prima i precettori, i maestri, gli insegnanti erano quasi esclusivamente uomini. Nella seconda metà del XX secolo la componente femminile è andata via via aumentando fino a diventare oggi prevalente in alcuni ordini di scuola. Nelle superiori credo che non ci sia una netta differenza numerica tra uomini e donne, ma lo dico senza dati alla mano, in base alla mia esperienza personale e a quello che osservo nell’ambito del reclutamento professionale.
6) Nella nostra classe siamo ben 16 ragazze e solo 7 ragazzi, crede che questa condizione dipenda anche dallo stereotipo di indirizzi scolastici più o meno adatti in base al sesso dell’alunno/a?
Credo che lo stereotipo di indirizzi più adatti in base al sesso degli alunni esista ancora, purtroppo. Il Liceo classico viene più facilmente consigliato alle ragazze, mentre lo Scientifico ai ragazzi, per non parlare degli Istituti tecnici. Ritengo sia un grave errore: non ci sono indirizzi di studio “di genere” ma inclinazioni personali. Lo stereotipo rischia di forzare le scelte dei ragazzi in uscita dalla scuola media, finendo per far commettere errori facilmente evitabili se si ragionasse in maniera diversa.
7) Spesso in ambiente scolastico/lavorativo una donna, alunna o professoressa che sia, viene  giudicata più per il suo aspetto esteriore e ciò che indossa,  che per le sue capacità. Si trova in accordo con questa affermazione?
 In parte ho già risposto a questa domanda precedentemente. L’aspetto esteriore di una donna pesa ancora molto sul giudizio che viene espresso su di lei: anche in questo caso gli stereotipi pesano in maniera determinante. Una bella donna è in moltissimi casi giudicata superficiale, incapace o si pensa abbia ottenuto successi e risultati tramite scorciatoie, sfruttando il suo aspetto fisico. Viceversa una ragazza o una donna meno avvenenti vengono talvolta poco considerate, viene loro lasciato meno spazio, vengono svilite e le loro effettive capacità sottovalutate. Questo raramente accade ad un uomo. Per noi donne è molto più difficile ottenere che si vada oltre il nostro aspetto: per mettere in luce le nostre doti dobbiamo prima riuscire a superare questo “ostacolo estetico”. Anche in questo caso, però, mi sembra che a mantenere tali pregiudizi contribuiscano molto le donne stesse: la solidarietà è un sentimento che non è ancora abbastanza diffuso in ambito femminile e non è raro che i primi giudizi taglienti arrivino proprio prima di tutto da compagne o colleghe.
8) La nostra è ancora una società prettamente patriarcale?
 La nostra società è figlia di una mentalità patriarcale talmente radicata che sembra quasi impossibile liberarsi completamente di un’eredità così scomoda. Lo dimostrano i tragici episodi di cronaca che quasi quotidianamente coinvolgono le donne: dallo stalking, ai maltrattamenti, alle umiliazioni subite da parte di ex compagni fino al femminicidio. Spesso anche uomini di estrazione sociale medio-alta, con un’eccellente formazione culturale e posizioni lavorative di rilievo si trovano coinvolti in comportamenti così riprovevoli o, comunque, pur non essendone diretti protagonisti, li comprendono se non addirittura approvano. Credo ci sia ancora un lungo lavoro da fare per modificare questa mentalità, tanto diffusa in Italia, e una grande responsabilità l’hanno sia le famiglie che la scuola: atteggiamenti maschilisti non devono essere tollerati, ma non devono essere neppure semplicemente stigmatizzati. Bisogna spiegare ai ragazzi dove sta l’errore profondo di un simile modo di approcciarsi al genere femminile. Alle ragazze, contemporaneamente, va spiegato come certi rapporti e certi comportamenti non siano assolutamente da accettare: solo lavorando su più fronti si può pensare di arrivare ad eliminare davvero la mentalità patriarcale che ancora è tanto diffusa. Non è necessario arrivare ad un matriarcato, ma credo sia invece sempre più urgente arrivare ad un parità che ancora non esiste. Questo anche perchè se tanto si discute di pari opportunità in ambito lavorativo per uomini e donne, sembra dato per scontato che in ambito familiare si continuino a perpetuare certi meccanismi che invece non sono più sostenibili.
9) E infine, quali sono secondo lei i tanti pregiudizi maschilisti di cui noi giovani alunne subiamo tutt’oggi le conseguenze ?
Vorrei pensare che voi giovani alunne del 2021 non siate più costrette a subire pregiudizi maschilisti: osservandovi nelle dinamiche scolastiche vedo una maggiore integrazione e soprattutto noto la voglia tra le ragazze di difendere e far valere le proprie opinioni e i propri punti di vista. Forse ancora un pregiudizio, però, è duro a morire: si pensa sempre che le ragazze siano delle secchione, che raggiungano risultati eccellenti solo attraverso lo studio “matto e disperatissimo”, mentre le menti brillanti, portate alla velocità del ragionamento logico siano esclusivamente quelle maschili. Sarà compito della vostra generazione, allora, dimostrare che si può essere brillanti indipendentemente dal sesso: la vivacità culturale, la brillantezza dell’argomentazione, l’intuito fino appartengono alla mente, non al genere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *